Il concetto di Stato sociale vede la luce nella Germania bismarckiana, quando inizia a essere utilizzata la parola Wohlfahrtsstaat, ossia “Stato del benessere”, per definire i nuovi compiti sociali dello Stato nell’ambito dell’assistenza ai cittadini in stato di bisogno e fragilità. In Italia, per arrivare all’accezione moderna del termine Stato sociale, bisogna attendere la fine della Seconda guerra mondiale quando, come in molti altri paesi dell’Europa occidentale, prende una nuova forma di Stato. In netto ripudio degli stati autoritari e totalitari, lo Stato sociale, che è chiamato anche Stato assistenziale e appare collegato per molti aspetti allo Stato liberal-democratico ma di quest’ultimo costituisce un superamento.
Il Welfare contemporaneo
Il Welfare State contemporaneo nasce a seguito del piano di riordino del sistema britannico di sicurezza sociale concepito da William Beveridge e completato nel novembre 1942 e, da quel momento, è stato utilizzato anche per indicare il futuro assetto che avrebbero dovuto avere gli Stati democratici e per distinguere questi ultimi dagli Stati totalitari come quello nazionalsocialista e sovietico. In particolare, dopo il varo della legislazione sociale laburista inglese del periodo 1945-1951, il modello dello Stato sociale è divenuto sempre più popolare, è stato adottato in molti paesi dell’Occidente e ha iniziato la sua ascesa nel mondo. Una tappa di tale marcia è stata l’Italia, nel dibattito che, attraverso l’Assemblea Costituente, ha portato alla stesura della Costituzione.
La Costituzione e la protezione sociale
La Costituzione italiana, a seguito di quanto stabilito all’interno delle varie commissioni dell’Assemblea Costituente, all’articolo 38 spiega con estrema chiarezza le forme di previdenza e quindi afferma che i lavoratori “hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. Viceversa, nella prima parte si parla della forma di assistenza. Il diritto al “mantenimento e all’assistenza sociale” è riconosciuto, infatti, molto genericamente, a ogni “cittadino inabile al lavoro”, purché, naturalmente, “sprovvisto di mezzi necessari per vivere”. Si è data così concreta attuazione al welfare così come lo intendiamo oggi.
La pandemia e l’innovazione del welfare
La pandemia da Covid-19, con il suo grande bagaglio di morte e sofferenza, ha messo a dura prova la rete dei servizi sociali e sanitari, i quali sono stati esposti ad un’onda d’urto imprevista, che ha fatto incrementare notevolmente la domanda di prestazioni sanitarie e di interventi sociali. Ciò che abbiamo vissuto ha svelato le fragilità del welfare italiano e, contemporaneamente, ha reso evidente la funzione ed il senso del welfare quale presidio di diritti fondamentali come la garanzia del benessere collettivo della comunità. Oltre a ciò, nel frangente pandemico, insieme alle criticità ed ai punti di debolezza, sono emerse anche le risorse ed i punti di forza del nostro welfare e, più in generale del Paese, tra cui è possibile menzionare anche l’esistenza di una rete di imprese sociali ed enti del Terzo settore presenti in modo capillare in tutto il territorio nazionale che durante l’emergenza sono state in prima linea nell’affrontare le difficoltà delle famiglie, contribuendo così ad accelerare straordinariamente dei processi collaborativi e sinergici, generando anche alleanze prima poco immaginabili e contribuendo a generare un nuovo modello di welfare di comunità. Il raggiungimento di tale obiettivo è stato reso possibile anche grazie a soggetti pubblici e privati che hanno creduto nel compito fondamentale del welfare per la tutela delle realtà che, a loro volta, aiutano i più fragili. Una di queste è la Fondazione Cariplo.
La Fondazione Cariplo
La Fondazione Cariplo viene istituita nel 1991, a seguito della legge “Amato-Carli”, ma la sua storia ha un’origine molto più̀ lontana, nel 1816 con la costituzione della Commissione Centrale di Beneficenza e successivamente della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde. In quel periodo storico, davanti alla devastazione generata dalle guerre napoleoniche, è nata l’intuizione di organizzare un’attività̀ filantropica per sostenere i più̀ deboli e creare le condizioni per lo sviluppo futuro. In particolare, la stessa si dedica alla filantropia attraverso le proprie risorse economiche, progettuali e professionali per incentivare e supportare la realizzazione di progetti che mettano al centro il bene comune, la crescita delle persone e l’interesse collettivo. L’obiettivo è quello di contrastare le disuguaglianze, specialmente sostenendo le fasce più fragili della popolazione e di promuovere la crescita economica e sociale del territorio. Ciò viene fatto ogni anno attraverso la realizzazione di numerosi progetti grazie ai contributi a fondo perduto concessi agli enti nonprofit, distribuiti mediante bandi, erogazioni emblematiche, territoriali, istituzionali e patrocini, per un impegno di circa 150 milioni di euro. Interris.it, in merito alle nuove sfide del welfare per la tutela delle nuove fragilità emerse in questo particolare periodo storico, ha intervistato il professor Giovanni Fosti, presidente della Fondazione Cariplo. Nel recente passato è stato inoltre direttore dell’Education for Government & Non Profit, nell’ambito della divisione Government, Health & Not for Profit della Sda Bocconi di Milano. Nei sei anni precedenti è stato membro della Commissione Centrale di Beneficenza, l’organo di indirizzo di Fondazione Cariplo, all’interno della quale ha partecipato ai gruppi di lavoro delle Sottocommissioni Servizi alla Persona ed Arte e Cultura. È stato anche presidente della Fondazione Social Venture – Giordano dell’Amore, importante braccio strategico ed operativo nell’ambito del programma Social Innovation che Fondazione Cariplo ha avviato nel novembre del 2017. È associate professor of Practice di Government, Health and Not for Profit presso SDA Bocconi School of Management. È professore a contratto di “Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche” all’Università Bocconi. In ambito accademico si occupa e si è occupato anche di ricerche riguardanti tematiche come l’innovazione sociale, la programmazione e il cambiamento nei sistemi di welfare locali, gli assetti istituzionali e i modelli di servizio per la non autosufficienza.
L’intervista
Professore, quali sono le nuove sfide che attendono il mondo del welfare dopo la pandemia?
“Credo che ci sia un rischio evidente di crescita della povertà, una maggiore frammentazione dei sistemi di intervento. Abbiamo meno persone disponibili in grado anche di intervenire e quindi dobbiamo essere molto più bravi a organizzare tutto il sistema, più coesi dentro la comunità, ossia lavorare molto di più su una infrastruttura fondamentale che diventa un legame che può sostenere le persone”.
In che modo Fondazione Cariplo sta venendo incontro alle realtà del territorio per far fronte alle nuove fragilità emerse in questo periodo?
“Da una parte c’è un lavoro di continuità sui temi del rafforzamento di comunità, quello rimane il filo conduttore di ciò che fa la Fondazione. In particolare, poi, ci sono alcuni temi su cui stiamo lavorando e, pensando agli ultimi bandi, siamo usciti con uno sull’invecchiamento e con uno che si chiama “Attenta – mente” per contrastare il disagio degli adolescenti perché, in fondo, ai due estremi demografici si stanno giocando delle partite storiche. Infatti, da un lato emerge il disagio ormai fortissimo degli adolescenti su cui bisogna assolutamente lavorare e, dall’altra, il nostro paese sta invecchiando sempre di più e bisogna essere in grado di intervenire in modo adeguato”.
Quali sono i vostri auspici per il futuro in materia di rinnovamento del welfare?
“Avere un welfare che abbia la capacità di modificare il proprio sistema di intervento e capire che non ci sono solo le domande da ricevere ma anche gli interventi da attuare, andando incontro alle esigenze delle persone, diventando quindi più capaci di leggerle e intervenire di conseguenza”.