Per la seconda volta, dopo nove anni, abbiamo assistito alla rielezione del presidente della Repubblica in carica. Il primo a essere confermato per un secondo mandato è stato Giorgio Napolitano nel 2013, il cui settennato-bis è durato in realtà due anni per via delle sue dimissioni nel gennaio 2015. E di nuovo a gennaio, stavolta del 2022, il capo dello Stato Sergio Mattarella ha ricevuto nuovamente i voti per ricoprire l’incarico di inquilino del Quirinale, dopo quasi una settimana di tentativi di accordo infruttuosi fra le forze politiche in campo. Interris.it ha interpellato il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli, giurista di fama nazionale e già vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura tra il 1986 e il 1990, sulla rielezione di Mattarella, sulla sua figura e sul contesto in cui questa è avvenuta.
Presidente, cosa prevede la Costituzione in merito alla rielezione del presidente della Repubblica? Pone dei particolari limiti?
“La Carta costituzionale stabilisce i criteri per avere l’idoneità per essere eletti, cioè la cittadinanza italiana, aver compiuto cinquant’anni di età e godere dei diritti civili e politici, e non c’è un espresso divieto di rielezione del presidente della Repubblica. Nella storia la prassi non è stata uniforme, ricordiamo che già Giorgio Napolitano era stato rieletto. Il presidente Mattarella negli ultimi tempi aveva più volte richiamato le posizioni di alcuni suoi predecessori, come l’introduzione in Costituzione del limite di un mandato, del divieto di rielezione e l’eliminazione del cosiddetto semestre bianco, ovvero il vincolo di non sciogliere anticipatamente le Camere negli ultimi sei mesi del settennato. Riguardo la rielezione, una osservazione che viene fatta è che 14 anni di presidenza della Repubblica sono periodo eccezionalmente lungo, una sorta di ‘monarchia repubblicana’, mentre la scalettatura degli anni di mandato dei vertici istituzionali del Paese è opportunamente stabilita dalla Costituzione, cinque anni per il Parlamento – cioè l’organo che elegge capo dello Stato –, così come nove per giudici costituzionali, con in aggiunta il divieto rielezione per questi ultimi in modo da evitare che nell’esercizio delle loro funzioni possano essere sensibili agli organi che li hanno eletti”.
Quali conseguenze derivano, per la politica, dall’aver “costretto” il presidente Mattarella a rivedere la sua posizione, più volte ribadita, sulla rielezione?
“Il presidente Mattarella aveva manifestato il pensiero attraverso queste diverse forme, un’altra implicita manifestazione di contrarietà di fronte all’idea di una seconda elezione potrebbe ritrovarsi nel suo allontanamento da Roma durante i giorni delle votazioni, che ha seguito da Palermo. La convergenza sul suo nome è arrivata dopo infruttuosi tentativi di accordo tra le forze politiche, in crisi e disorientate, ma non è una convergenza della disperazione bensì una convergenza della speranza e dell’esigenza di dare stabilità alle istituzioni. Cioè di assicurare una continuità di azione al governo e alla presidenza in un momento necessario come questo, in cui siamo impegnati in una marcia a tappe forzate, sia per l’efficacia che per i tempi previsti, per l’attuazione programmi finanziati in larga parte con larghe risorse europee. Bloccare l’azione governo per mesi e innovare la presidenza della repubblica avrebbe giovato o no al Paese? Probabilmente no”.
Quali effetti può avere sul piano politico e istituzionale la seconda rielezione di un capo dello Stato, dopo il “precedente” Napolitano?
“Dobbiamo osservare quali sono le condizioni, anche questa era una situazione di non normalità per l’incapacità delle forze politiche di far sintesi al proprio interno e fra di loro. Il presidente della Repubblica è il rappresentante dell’unità nazionale e in caso di rielezione non può essere eletto come espressione di una parte, deve continuare ad essere rappresentante dell’unità nazionale anche al momento del secondo mandato. Sarebbe infatti pericoloso se nel suo rinnovo fosse espressione di parte”.
Il presidente Mattarella, come abbiamo visto, è fortemente rispettoso della Carta costituzionale, è stato un punto di equilibrio del sistema politico-istituzionale, e gode di un elevatissimo credito internazionale. La sua rielezione si può ritenere come una sorta di presidenzialismo de facto?
“No, proprio perché rispettoso del suo ruolo istituzionale non compirà atti propri di un presidenzialismo. Il presidente della Repubblica è un organo di garanzia del corretto funzionamento delle istituzioni, per esempio nella verifica delle condizioni che legittimano l’adozione di decreti leggi, nell’intervento in sede di promulgazione delle leggi. I governi sono sempre stati corretta espressione del voto di fiducia in Parlamento, il presidente ha sempre attribuito primariamente alle forze politiche parlamentari l’iniziativa e la responsabilità di esprimere un governo e, in caso di non funzionamento del sistema, di assicurare comunque un esecutivo al quale il Parlamento ha espresso la fiducia”.
Nel 2021 l’Italia è il Paese che cresciuto maggiormente in Europa, grazie anche alla sinergia tra il capo dello Stato e il presidente del Consiglio Mario Draghi. Come interpretare questo binomio, è diventato una sorta di conditio sine qua non per la ripresa del Paese?
“Non bisogna dimenticare che il nostro Paese è cresciuto perché era arretrato molto. Avevamo perso il 9% del Prodotto interno lordo e abbiamo recuperato il 6%, altri hanno invece perso meno. Il nostro recupero è stato reso possibile da una spesa pubblica alimentata da enormi risorse europee in funzione di correggere quegli elementi strutturali che hanno rallentato o fermato lo sviluppo del Paese. Ciò non toglie nulla alla credibilità, alla fiducia e al credito del capo del governo Draghi e del presidente Mattarella. Credibilità e fiducia sono dei ‘beni immateriali’ anche loro condizione per lo sviluppo”.