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Orsina: “Draghi, un discorso da uomo di Stato”

L’intervista di Interris.it al politologo Giovanni Orsina, professore di Storia contemporanea all’università Luiss Guido Carli

Restano in sospeso per alcune ore ancora la sorte di Mario Draghi a Palazzo Chigi, l’esistenza dell’esecutivo di unità nazionale che pare non essere più unito e infine il termine di questa legislatura. Dopo una giornata convulsa al Senato, la risoluzione a firma del senatore Pierferdinando Casini per l’approvazione delle Comunicazioni del presidente del Consiglio è approvata a maggioranza, con 95 voti a favore. Alla votazione non hanno partecipato però tre forze della maggioranza, cioè Movimento 5 stelledalla cui “mossa” del 14 luglio scorso era cominciato tutto –, la Lega e Forza Italia, da cui è uscita la ministra per gli Affari regionali Mariastella Gelmini. Il premier non è salito ieri sera al Quirinale e oggi alla Camera dei deputati va in scena il secondo capitolo della crisi di governo.

Patto di fiducia

Le Comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio di ieri si chiudono con una domanda che mette le forze politiche presenti nell’aula di Palazzo Madama di fronte a una scelta decisiva: “Siete pronti a ricostruire questo patto di fiducia?”. Un patto di fiducia che ha retto l’azione di governo da quando è in carica, lo scorso 13 febbraio 2021, per affrontare l’emergenza pandemica e la campagna vaccinale, il raggiungimento degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza per ottenere i fondi europei, a cui si sono aggiunti l’aumento dei prezzi dell’energia e la guerra in Ucraina. Un esecutivo di unità nazionale, quello guidato dall’ex vertice della Banca d’Italia e della Banca centrale europea, “di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica”, secondo le parole del capo dello Stato Sergio Mattarella. Draghi ha sottolineato l’importanza del sostegno parlamentare a un esecutivo presieduto da un premier “che non si è mai presentato davanti agli elettori”, come presupposto a quell’azione di governo che proprio in virtù di quell’“amplissimo consenso”, in cui le forze di maggioranza hanno messo da parte le loro divisioni in nome del bene comune del Paese, ha potuto agire tempestivamente. “Gli italiani hanno sostenuto a loro volta questo miracolo civile, e sono diventati i veri protagonisti delle politiche che di volta in volta mettevamo in campo”, ha aggiunto Draghi, che nel suo discorso ha ricordato anche il sostegno arrivatogli negli ultimi giorni dalla società civile, da tanti sindaci e dal personale sanitario. Un’unità nazionale e un consenso parlamentare che non hanno più retto il patto di fiducia di diciassette mesi fa, quando il Movimento 5 stelle non ha votato la fiducia sul decreto Aiuti al Senato lo scorso 14 luglio, con la decisione di Draghi dimettersi e le dimissioni respinte da Mattarella, che lo ha mandato davanti alle Camere. Mercoledì 20 luglio, nelle sue comunicazioni, il presidente del Consiglio nella mezz’ora di intervento ha ripercorso l’ultimo anno e mezzo, i risultati conseguiti e le crepe che si sono allargate nella maggioranza di unità nazionale, terminando poi il suo discorso così: “L’unica strada, se vogliamo ancora restare insieme, è ricostruire da capo questo patto, con coraggio, altruismo, credibilità. All’Italia non serve una fiducia di facciata, che svanisca davanti ai provvedimenti scomodi. Serve un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto, come quello che ci ha permesso finora di cambiare in meglio il Paese. I partiti e voi parlamentari – siete pronti a ricostruire questo patto? Sono qui, in quest’aula, oggi, a questo punto della discussione, solo perché gli italiani lo hanno chiesto. Questa risposta a queste domande non la dovete dare a me, ma la dovete dare a tutti gli italiani”.

Le dimissioni

“Il voto di giovedì scorso ha certificato la fine del patto di fiducia che ha tenuto insieme questa maggioranza”, ha detto ancora il premier, “non votare la fiducia a un governo di cui si fa parte è un gesto politico chiaro, che ha un significato evidente”. Il capo dell’esecutivo faceva riferimento alla decisione dei senatori pentastellati di risultare assenti durante le due “chiame” al voto sul dl Aiuti al Senato giovedì 14 luglio, su cui era stata posta la fiducia e che è passato con 172 sì, 39 no e nessun astenuto. Decisione che ha spinto il presidente del Consiglio ad annunciare ai suoi ministri, nel corso di una riunione, che sarebbe salito al Quirinale a rassegnare le sue dimissioni. “Il Presidente della Repubblica ha respinto le mie dimissioni e mi ha chiesto di informare il Parlamento di quanto accaduto – una decisione che ho condiviso”, ha detto ancora Draghi all’aula di Palazzo Madama. “Le Comunicazioni di oggi (ieri, ndr) mi permettono di spiegare a voi e a tutti gli italiani le ragioni di una scelta tanto sofferta, quanto dovuta”.

Roma 20/07/2022 – comunicazioni del Presidente del Consiglio al Senato della Repubblica / foto Ufficio Stampa Presidenza Consiglio Ministri/Image
nella foto: Mario Draghi

L’intervista

Per capire meglio quello che è successo ieri nell’aula di Palazzo Madama e gli scenari che si aprono oggi con l’appuntamento alla Camera dei deputati, Interris.it ha intervistato il politologo Giovanni Orsina, professore di Storia contemporanea all’università Luiss Guido Carli e direttore della School of Government nel medesimo ateneo.

Quello che è successo al Senato cosa ci racconta?

“Una storia che già conoscevamo, quella di un sistema politico in crisi profondissima il cui epicentro è il Movimento 5 stelle. Una forza politica che ha esaurito la sua parabola storica e va verso la dissoluzione, in un contesto di una già esistente crisi dei partiti. La ‘supplenza’ di Draghi nasceva da una crisi della politica e la crisi della politica si è poi rimangiata la ‘supplenza’. La politica è talmente debole che non riesce a prendere decisioni nette: non dimentichiamo che questa crisi è nata dal gesto del Movimento 5 stelle che esce dall’aula su un voto fiducia su un provvedimento, dicendo che però avrebbe votato la fiducia al governo. Oggi è passata una fiducia tecnica, ma non politica”.

Partiamo da discorso del presidente del Consiglio dimissionario: qual è stato il suo tono?

“Draghi ha fatto discorso da uomo di Stato, in cui ha detto in modo duro e netto di cosa ha bisogno l’Italia e quali erano le sue condizioni, un breve programma per i pochi mesi che sarebbero rimasti. Il problema è che è le sue comunicazioni sono state percepite dal centrodestra di Forza e Italia non solo dure, ma anche ‘asimmetriche’, cioè più rivolte al centrodestra che al centrosinistra. Se è stato un effetto voluto da Draghi o si è trattato solo di una percezione di quella compagine non possiamo saperlo, sappiamo perché che oggi siamo ‘entrati’ in una crisi centrata sui 5 stelle e siamo usciti con una crisi incentrata sul centrodestra”.

Com’è cambiato il rapporto tra Draghi e i partiti, in questi 17 mesi?

“Non si è deteriorato per tutti i partiti. Pensiamo al Partito democratico che ha ‘sposato’ sempre di più il governo Draghi, infatti l’asse del premier con il segretario dem Enrico Letta si è rafforzato, cosa che il centrodestra gli ha rimproverato. I rapporti con la Lega e i pentastellati hanno avuto invece più alti e bassi”.

Quali i riflessi di questa situazione sullo scenario internazionale?

“Sicuramente non sono contenti e ce lo hanno fatto capire in tutti i modi: la presenza di Draghi era una garanzia in un momento di instabilità. Abbiamo occhi puntati addosso, vedremo come aprono le borse e come sarà lo spread”.

Dopo la giornata convulsa di ieri, cosa dobbiamo aspettarci che accada oggi a Montecitorio?

“Ci dobbiamo aspettare che Draghi entri per dire ai deputati che non ci sono più le condizioni per andare avanti e si dimetta. Un atto di cortesia per i parlamentari, perché non mi sembra ci siano margini di recupero”.

Roma 20/07/2022 – comunicazioni del Presidente del Consiglio al Senato della Repubblica / foto Ufficio Stampa Presidenza Consiglio Ministri/Image
nella foto: Mario Draghi

Nel caso che il presidente della Repubblica sciolga le Camere, quali sono i tempi per andare alle elezioni e quale impatto avrebbe questo sul Pnrr e le riforme?

“Si va al voto entro 70 giorni dallo scioglimento delle Camere, quindi dovrebbe essere a fine settembre ma per una serie di festività ebraiche tra la fine di quel mese e l’inizio di ottobre, pare che la data per le urne possa essere il 2 ottobre. Per quanto riguarda il Pnrr, credo che le decisioni siano già state prese e attualmente siano sul livello amministrativo, ma un governo per il disbrigo degli affari correnti non ha tempo e modo di fare uno sforzo riformistico importante”.

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