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La guerra ai poveri invece che alla povertà

In questi giorni si respira l’aria del Natale, purtroppo imposto dal ritmo serrato delle proposte commerciali ma, fortunatamente, dai più sentito come autentica solennità della tradizione culturale e spirituale, che stimola la riflessione sui temi fondamentali della vita, non solo cristiana: la famiglia, gli affetti, l’accoglienza e la comprensione verso il prossimo, la solidarietà.

Non può tacersi lo stridente contrasto – oramai consueto – tra le due onde di piena, quella individuale e quella commerciale, che finiscono per influenzarsi a vicenda: persone che cercano valori e offerte di beni spesso, troppo spesso, attente a cogliere le opportunità tra i sentimenti. La percezione delle prime sull’opportunismo delle seconde consente ai più attenti di selezionare quanto davvero gli occorre per partecipare serenamente ma tanti, troppi, ancora cadono nella rete astutamente intrecciata, per timore di non esserci o in assenza di appigli sicuri per non lasciarsi trasportare dalla corrente, per alcuni travolgente. Sembra quasi che sia necessario vidimare la presenza ed attendere il breve epilogo della festa.
I numeri forniti dall’informazione sono spesso oscillanti, talvolta addirittura contraddittori: undici milioni di poveri, conseguenza della Crisi (voglio scriverla così avendo assunto un nome proprio negli ultimi tempi) ma pienone dappertutto, cui si risponde con un laconico siamo troppi! Mi piace di più rispondere, invece, che abbiamo fatto la guerra ai poveri, invece che alla povertà: ce la siamo fatta tra noi, piuttosto che farla alle sue cause, obnubilando che possiamo passare da una categoria all’altra, talvolta inconsapevolmente o involontariamente.

Troppe sono davvero le persone indigenti, prive dei fondamentali mezzi di sussistenza, costrette a subire anche l’indifferenza dei vicini disattenti e concentrati sui propri problemi per timore di aggiungerne altri, piuttosto che di condividerli. Eppure il Natale è festa di amore, di meraviglia, di gioia, che sono sentimenti impossibili da vivere da soli ma devono, necessariamente, essere condivisi e tale condivisione riguarda anche i tempi e gli spazi: si parla di integrazione ma gli ospiti ignorano o, peggio, combattono gli ospitati timorosi di inquinare le proprie regole che gli ospitati rifiutano di seguire, confondendo, nella stringatezza dell’informazione, i diversi piani giuridici, etici e sociali in cui la riflessione dovrebbe svolgersi, sì che tale stringatezza si è estesa al pensiero: sia sufficiente considerare che se sul piano giuridico occorre rispettare le leggi dello stato in cui si vive, sul piano sociale il mondo appartiene a tutti e su quello etico l’incontro dei costumi li evolve. Alla mensa dei poveri come alle case di accoglienza si respira un profumo diverso da quello dei centri commerciali; ma il Natale è lo stesso ed i sentimenti sono analoghi. Forse basterebbe soltanto avvicinare le frange contigue per far mischiare almeno gli odori ed arricchire, un poco, non solo i poveri

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