Allarme dipendenza
Queste alterazioni si possono presentare con modalità diverse tali da comportare un ampio spettro di disordini che vengono ricompresi nel termine Fasd (Fetal Alcohol Spectrum Disorder). Ne parla in un video la dottoressa Daniela Spaziani, responsabile dell’Unità Operativa Semplice Dipartimentale Servizio Dipendenze (Uosd Ser.D.) Area L’Aquila della Asl Avezzano Sulmona L’Aquila. “
I ragazzi fino a 18-21 anni non metabolizzano l’alcol. E’ un discorso che vale per entrambi i sessi, sia per i maschi che per le femmine”. Non è una questione di genere. “
In questa fascia d’età è l’uso dell’alcol – non l’abuso – che è già di per sé pericoloso, espone a maggiori rischi per la salute e la sicurezza. Quando si fa prevenzione su questo fronte,
non si può dire “bevi responsabilmente” a un ragazzino sotto i 18 anni. Bisogna invece spiegare perché l’alcol non è per tutti, e soprattutto perché non è per i minori. Così come
non è per gli anziani, che perdono la capacità di metabolizzare l’alcol al pari degli adolescenti.
Bisogna far capire tutto quello che causa l’alcol e che può essere evitato, educare non per punire ma per creare il rispetto per se stessi e per gli altri. E’ una
questione di cultura.
Danni dell’alcol
L’alcol non solo riduce la percezione del rischio e ti mette nelle mani degli altri, abbassa le inibizioni che dovrebbero frenare determinati atti che in stato di sobrietà non faresti. E’ quell’alchimia che ha prodotto una generazione chimica. E’ l’analisi di Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale alcol dell’Istituto superiore di sanità (Iss). Il dibattito sul rapporto fra i giovani e l’alcol si è acceso sull’onda dei recenti episodi di violenza, che hanno visto coinvolti adolescenti e in cui è entrato in gioco anche il fattore alcol. “Falla ubriacare”, avrebbe detto uno dei ragazzi del branco, sotto accusa per lo stupro di gruppo avvenuto a Palermo. “Significa – osserva Scafato all’Adnkronos- che il ragazzo è consapevole dell’effetto dell’alcol, del fatto che ti mette in condizione di poter abusare di una persona che non può difendersi. Parlare dell’alcol significa anche parlare di tutte quelle azioni che possono incidere su se stessi e sugli altri”. L’esperto insiste sull’aspetto culturale. “Ricordo quando circa 20 anni fa il problema dell’alcol e dei giovani era balzato agli onori delle cronache con il fenomeno del binge drinking, che abbiamo importato dai Paesi anglosassoni. Bere per ubriacarsi: di questo si parlava. E c’era chi minimizzava, si diceva che l’Italia è un Paese mediterraneo e che questa pratica non avrebbe attecchito. Invece, siamo stati proprio bravi a farla attecchire“.
Negli occhi dei giovani
All’inizio, ripercorre l’esperto, “era la birra a
spingere, ora il vino, i superalcolici, un po’ tutto. Bere nel tempo è diventato ‘cool’, ‘glamour’, per le giovani ragazze
ha rappresentato un motivo di adultizzazione, di emancipazione. In assenza di qualsiasi informazione su quelli che sono i rischi legati al consumo di alcol in quell’età. Per i
ragazzi un mezzo di disinibizione. L’alcol agli occhi dei giovani è utile, migliora la capacità di relazione, abbassa le barriere, rende loquaci anche i più timidi. Ma
non si è consapevoli che una volta consumato un bicchiere e raggiunto l’effetto di disinibizione, la volta successiva l’organismo richiede una quantità doppia,
2 bicchieri diventano 4 e si entra nel consumo rischioso che porta anche alla dipendenza”, avverte. Ogni anno, ricorda Scafato, a causa dell’alcol si registrano circa
35mila accessi ai pronto soccorso, “nel 10% dei casi sono minori. Ragazzini che nelle feste e nei locali r
icevono delle bevande alcoliche. Il divieto di vendita in questa fascia d’età è una delle norme più disapplicate”.
Pruning
Quali sono i rischi? “Gli stessi degli adulti”, ma non solo. Al di là del
pericolo aumentato di cancro al seno che rende il sesso femminile estremamente vulnerabile, c’è un dato. L’alcol è la prima causa di mortalità per i giovani
fino a 29 anni, e questo si lega alla guida in
stato di ebbrezza“. Un altro “impatto importante che si è delineato bene è che l’alcol interferisce nello sviluppo cerebrale del giovane, uno sviluppo che
avviene dai 12 ai 25 anni e riguarda la parte prefrontale, quell’area che ci fa razionali, logici controllati”, prosegue. Gli adolescenti “usano le
parti laterali del cervello che sono quelle più emotive, più impulsive, che gestiscono anche l’aggressività e l’irrazionalità.
Tra 12 e 25 anni quindi il cervello si riorganizza e aumenta di volume soprattutto nella parte prefrontale. L’alcol consumato in questa
fascia d’età interferisce con questo processo che si chiama “pruning”. E determina una cristallizzazione della
modalità cognitiva in un caratteristico atteggiamento adolescenziale irrazionale, poco controllato, tendente al rischio.
Osservatorio
L’alcol dunque influisce anche sul futuro cognitivo dei giovani e ne determina un’immaturità cerebrale. E c’è anche la creazione di un individuo non completamente razionale e logico, una riduzione della memoria e dell’orientamento nei luoghi. Questi sono i principali aspetti di rischio connesso anche all’uso moderato“. Tra l’altro, abbassandosi la percezione del rischio, “si è più esposti anche alla prova di droghe illegali, dalla cannabis alla coca, all’ecstasy e alle droghe sintetiche”, avverte ancora Scafato, secondo cui è importante informare i ragazzi fino in fondo sui rischi anche per il loro futuro, per sé e per gli altri. “E’ chiaro che è una questione culturale: sollecitare i ragazzi a partecipare alla creazione della loro stessa salute – riflette – Se a quell’età si introduce il germe di oltre 200 potenziali patologie si rovina il futuro, per colpa di un’abitudine che il ragazzo non era in grado di valutare adeguatamente, in quanto non c’è stato un adulto che gliel’ha fatto capire”. L’esempio, per il direttore dell’Osservatorio alcol, è cruciale.
Aggregazione
“I ragazzi cercano lo sballo, cercano qualcosa che
non riescono a fare da sobri? Noi avremmo dovuto insegnare loro a costruire esperienze, ricordi, divertimenti
attraverso una vita normale“. E’ l’effetto ‘generazione chimica’ che per Scafato va invertito: “Succede che quando voglio essere disinibito bevo alcol, quando
comincia l’effetto down uso l’energy drink che mi dà la vigilanza, e poi mi metto alla guida, ma in corpo ho sempre la stessa quantità di alcol. E seguendo questo tipo di
alchimia, mi attacco alla cannabis. Oppure alla cocaina che mi dà l’effetto up per stare in discoteca e
resistere alla fatica di un divertimento che inspiegabilmente deve cominciare alle 2 di notte, in condizioni psicofisiche già alterate. Poi c’è discorso dell’
aggregazione nel rischio, della ritualità. Incontrarsi per
andare a bere e farsi una canna”.
Modelli
Ma, è il problema posto dall’esperto, “è questo che si deve fare quando ci si incontra? Certo se l’alcolico costa meno dell’analcolico è più facile che sia così, e che il prodotto guadagni appeal. C’è poi l’effetto fiction. Tutto questo traghetta modelli. I giovani seguono l’esempio degli adulti. Noi – conclude Scafato – riusciamo a educarli molto di più con il nostro esempio che con le parole. Non possiamo pensare di dire a nostro figlio di non fumare o non bere, mentre teniamo una sigaretta o un bicchiere in mano. Non dobbiamo mai dire ai giovani che fa bene bere, perché questo concetto è completamente abbattuto dall’evidenza scientifica”.