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Arcivescovo Paglia a Interris.it: “Tutto è collegato. La distanza non diventi indifferenza”

Intervista a Interris.it sulla pandemia dell'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, gran cancelliere del Pontificio istituto Giovanni Paolo II

“Oggi diciamo con un neologismo che siamo ‘onlife’. Viviamo una vita collegata in rete. Ecco, diventiamo ‘onlife’ ognuno verso gli altri, più responsabili, più consapevoli, più compassionevoli. E’ bene ripeterselo spesso: da soli non ci si salva!”, afferma a Interris.it l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, gran cancelliere del Pontificio istituto Giovanni Paolo II, presidente della Federazione Biblica cattolica internazionale.

Appello di monsignor Paglia

“L’emergenza Covid ha fatto emergere l’interconnessione di fatto che c’è nel pianeta- sottolinea l’arcivescovo-. Bene, deve diventare una scelta. La solidarietà tra tutti è la via per uscire anche dalla pandemia. Solo con la solidarietà proteggeremo noi stessi e gli altri. È accaduto in primavera. Ora in questa fase dobbiamo riprendere la spinta alla fraternità, alla responsabilità verso gli altri”.La seconda ondata della pandemia, vista dalla prima linea della Chiesa povera per i poveri, quali difficoltà e sfide pone?

“La pandemia ci fa vedere il peso delle disparità sanitarie, sociali, culturali, economiche. Mettiamoci nella prospettiva dell’America Latina o dell’Africa, o di alcune zone dell’Asia, dove le misure sanitarie del distanziamento non hanno senso perché gli agglomerati urbani sono impossibili da controllare, o manca l’acqua potabile o l’accesso ai servizi di base. O mancano trasporti ed elettricità e i vaccini non possono arrivare o non possono venire conservati”.A cosa si riferisce?

“Queste povertà non sono scritte nella storia. Le abbiamo create noi esseri umani con il desiderio di prevalere sugli altri. Di arricchirci a scapito di tanta parte di umanità. Ma per quale motivo? A cosa serve la ricchezza se è basata sulla miseria di tanti? È ora di un salto di qualità etico da parte di tutti, a partire da noi che siamo nei paesi più ricchi”.Papa Francesco ha ribadito che nessuno si salva da solo. Nell’emergenza sanitaria si diventa più egoisti o più solidali?

“Per la Chiesa la risposta è quasi ‘istintiva’, scolpita nel Vangelo. E il Papa Francesco lo ha ribadito con la sua enciclica ‘Fratelli tutti’ che, peraltro, continua ed allarga la riflessione già iniziata con la ‘Laudato Sì’. L’emergenza sanitaria non ha frontiere. Il virus non ha frontiere. E quindi vengono a cadere le barriere artificiali che le persone e le società hanno posto in essere”.Può farci un esempio?

“Frontiere, divisioni culturali, di mentalità, pretese di superiorità economica e sociale, teorie della ‘razza’.  Da soli è impossibile salvarsi! La fraternità deve essere una scelta culturale, politica, economica e, ovviamente, anche religiosa. Siamo responsabili e, come dice il Papa, ‘tutto è collegato’. I nostri comportamenti ci salvano o ci perdono, così come le scelte”.Quali disagi stanno affrontando le fasce più indigenti della società?

“Penso in particolare agli anziani e ai bambini. Oggi è particolarmente difficile separare la società in ‘fasce’, in settori di età. Aggiungerei inoltre quel popolo di poveri che la pandemia ha reso più numeroso. Tutta la società deve affinare lo sguardo verso di loro. C’è bisogno di un cuore che vede diceva papa Benedetto. Quanta attenzione in più dobbiamo avere verso gli anziani!”.Cioè?

“Penso solamente ai tanti che sono nelle residenze per anziani e non possono vedere i loro famigliari! Così pure dobbiamo stare accanto ai piccoli e ai ragazzi con molta più vigilanza. Per loro è molto più difficile vivere nel tempo del coronavirus. E i poveri? In un tempo di ‘distanza sociale’ sarebbe drammatico dimenticarli. La distanza non può diventare indifferenza”.Come è cambiato in pandemia il valore della solidarietà?

“La pandemia ci ha messo di fronte ai limiti dello sviluppo. Il benessere non ci difende dal virus e dalla paura di morire. La scienza ancora non ha risposte certe e definite. Tutta l’economia è colpita. Cento anni fa l’epidemia cosiddetta ‘spagnola’ ha mietuto milioni di vittime ed oggi ci scopriamo deboli ed impreparati come allora. Ma più fragili perché maggiormente interconnessi, globalizzati. Ecco allora il compito da affrontare: rafforzare l’umanità, la fratellanza, la vicinanza, la responsabilità nei confronti degli altri.Affrontiamo tutti la stessa tempesta ma non siamo tutti sulla stessa barca, l’emergenza Covid accresce le disuguaglianze sociali?

“Sì, ma non sono inevitabili e non sono una condanna. Abbiamo la possibilità di cambiare strada e modello di sviluppo. Il digitale e l’economia verde possono unire le loro forze per disegnare società a misura d’uomo ed economie sostenibili. Ci sono autorevoli studi ed esperienze (penso alla Fao, a Ibm, a Microsoft, per fare tre nomi da tutti conosciuti) che dimostrano come sia possibile cambiare strada. Sta a noi volerlo”.

 

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