“La povertà in astratto non ci interpella, ci fa riflettere, pensare”, ma non interpella. “Ma – ha detto il Papa nella udienza generale in piazza San Pietro – quando tu vedi la povertà nella carne di un uomo, di un bambino, di una donna”, non c’è più “distanza” tra te e la povertà. “Per questo abbiamo quella abitudine di fuggire dai bisognosi, o di non avvicinarci, o di truccare un po’ la realtà dei bisognosi con le abitudini alla moda, e così ci allontaniamo da questa realtà. Invece non c’è più alcuna distanza tra me e il povero quando lo incrocio”. Papa Francesco ha iniziato la spiegazione delle opere di misericordia riflettendo oggi su quella che invita a “dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati“.
“Una delle conseguenze del cosiddetto ‘benessere’ – ha detto il Papa nella catechesi della udienza generale, dedicata all’esame delle opere di misericordia – è quella di condurre le persone a chiudersi in sé stesse, rendendole insensibili alle esigenze degli altri. Si fa di tutto per illuderle – ha aggiunto – presentando modelli di vita effimeri, che scompaiono dopo qualche anno, come se la nostra vita fosse una moda da seguire e da cambiare ad ogni stagione. E non è così. La realtà va accolta e affrontata per quello che è, e spesso ci fa incontrare situazioni di bisogno urgente”. “È per questo – ha spiegato – che, tra le opere di misericordia, si trova il richiamo alla fame e alla sete: dare da mangiare agli affamati, ne sono tanti oggi, eh?, e da bere agli assetati”.
“Quante volte – ha osservato il Papa nella udienza generale in piazza San Pietro, davanti a oltre 35mila persone – i media ci informano di popolazioni che soffrono la mancanza di cibo e di acqua, con gravi conseguenze specialmente per i bambini”. “Di fronte a certe notizie e specialmente a certe immagini, – ha sottolineato papa Francesco – l‘opinione pubblica si sente toccata e partono di volta in volta campagne di aiuto per stimolare la solidarietà. Le donazioni si fanno generose e in questo modo si può contribuire ad alleviare la sofferenza di tanti. Questa forma di carità – ha rimarcato – è importante, ma forse non ci coinvolge direttamente. Invece quando, andando per la strada, incrociamo una persona in necessità, oppure un povero viene a bussare alla porta di casa nostra, è molto diverso, perché non sono più davanti a un’immagine, ma veniamo coinvolti in prima persona. Non c’è più alcuna distanza tra me e lui o lei, e mi sento interpellato”.
Quando incontro un povero, ha chiesto, “qual è la mia reazione? Giro lo sguardo, e passo oltre? Oppure mi fermo a parlare e mi interesso del suo stato? E se tu fai questo – ha commentato – non mancherà qualcuno che dica ‘ma questo è pazzo a parlare con un povero’. Vedo se posso accogliere in qualche modo quella persona o cerco di liberarmene al più presto? Ma forse essa chiede solo il necessario: qualcosa da mangiare e da bere”. Dopo aver ricordato che la fede senza le opere è nulla, ha detto che “c’è sempre qualcuno che ha fame e sete e ha bisogno di me. Non posso delegare nessun altro. Questo povero ha bisogno di me, del mio aiuto, della mia parola, del mio impegno, e tutti siamo coinvolti in questo, eh?”.
Il Vangelo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, ha osservato ancora, “è una lezione molto importante per noi. Ci dice che il poco che abbiamo, se lo affidiamo alle mani di Gesù e lo condividiamo con fede, diventa una ricchezza sovrabbondante”. Papa Francesco ha quindi citato quanto Benedetto XVI ha scritto nella sua enciclica “Caritas in veritate“, a proposito dell’imperativo etico per la Chiesa universale” di dare da mangiare agli affamati. “Sono per tutti noi credenti – ha commentato – una provocazione queste parole, una provocazione a riconoscere che, attraverso il dare da mangiare agli affamati e il dare da bere agli assetati, passa il nostro rapporto con Dio, un Dio che ha rivelato in Gesù il suo volto di misericordia”.