“Davanti agli occhi della nostra fede si apre il Cenacolo di Gerusalemme, dal quale è uscita la Chiesa e nel quale la Chiesa permane. È proprio là che è nata la Chiesa come comunità viva del Popolo di Dio, come comunità consapevole della propria missione nella storia dell’uomo. La Chiesa prega in questo giorno: ‘Vieni Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore!’. Solo lo Spirito Santo può riempire questo cuore, cioè condurlo a realizzarsi attraverso l’amore e la sapienza”. Queste parole di San Giovanni Paolo II fanno da introduzione alla solennità di Pentecoste che quest’anno si celebra domenica 19 maggio.
Un punto di partenza
La Pentecoste è un momento culminante: mentre completa i cinquanta giorni delle sette settimane successive alla Pasqua è punto di partenza del tempo della Chiesa. La successione delle domeniche segna la progressione del tempo verso il suo compimento nel Regno di Dio, quando ogni cosa avrà la sua piena realizzazione. Lo Spirito Santo che scese sulla Madonna e sugli Apostoli non ebbe su di lei lo stesso effetto che ebbe sugli apostoli: confermò infatti, la Vergine nella sua fede e diede agli apostoli la fede che ancora non avevano e che, da quel momento in poi, li rese capaci di testimoniare ciò che avevano visto: che quell’uomo che era stato crocifisso, Dio lo aveva resuscitato.
L’origine della Pentecoste
La ricorrenza della Pentecoste tra la sua origine dall’antica liturgia ebraica. Gli ebrei infatti, la indicavano con i nomi di “festa delle messi” e “festa dei primi frutti”, come rendimento di grazie a Dio. La denominazione che prevalse fu però quella di “ festa delle settimane”, poiché essa in effetti viene celebrata, come accennato, quando sono trascorse appunto sette settimane dalla Pasqua, cioè al cinquantesimo giorno. Tra gli ebrei la Pentecoste restò per lungo tempo come una festa essenzialmente agricola; solo dopo l’avvento del cristianesimo vi fu aggiunto il ricordo della promulgazione della legge data a Mosè cinquanta giorni dopo l’esodo dall’Egitto.
Il ricordo dello Spirito Santo
I primi cristiani, invece, accolsero questa festività giudaica e vi celebrarono – e vi celebrano tuttora – il ricordo dello Spirito Santo, cioè com’è detto negli Atti degli Apostoli: la consumazione di tutti i misteri, la pubblicazione solenne della legge di grazia e l’ultimo sigillo della nuova Alleanza. È certo che la Pentecoste veniva celebrata nella Chiesa primitiva con grande solennità. Ne abbiamo testimonianza negli scritti di Tertulliano (160-240) nel III secolo; nel diario della pellegrina Eteria nel IV secolo e soprattutto negli splendidi sermoni di Papa Leone Magno (440-461) nel V secolo.
La Pasqua delle Rose
Risale al medioevo, in questo giorno, l’usanza di far cadere nelle chiese, soprattutto in quelle francesi ed italiane, una vera e propria pioggia di petali di rose, per ricordare la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Questa suggestiva cerimonia aveva luogo con particolare solennità a Roma, nel Pantheon, il tempio pagano era stato donato dall’imperatore d’Oriente Foca (602-610) a Papa Bonifacio IV (608-615) e nell’anno 607 o 608 fu trasformato in chiesa e intitolato alla Vergine Maria con l’appellativo “ad Martyres“.
Il Papa, rivolto verso l’assemblea dei fedeli, rievocava nell’omelia la discesa dello Spirito Santo, dall’apertura della rotonda che sovrasta la cupola del grandioso edificio, veniva gettata una gran quantità di petali di rose per ricordare il prodigioso evento della pioggia di fuoco che avvolse gli Apostoli nel cenacolo. Fu allora che la domenica di Pentecoste fu detta “Pasqua delle Rose”, nome derivato anche dalla “ rosa d’oro “ che il pontefice stesso recava in amno durante la celebrazione. Questo gentile costume, che richiamava oltre ai fedeli, folle di turisti, fu sospeso all’inizio del XIV secolo allorché papa Clemente V (1305-1314) trasferì al sede del papato ad Avignone. Dal 1995 questa cerimonia si ripete puntualmente ogni anno nella solennità di Pentecoste.
In questa domenica viene cantato il “Veni Creator Spiritus” , un antico inno liturgico del IX secolo, attribuito a Rabano Mauro Magnenzio (780-856) abate benedettino di Fulda e poi arcivescovo di Magonza, sempre in Germania.