Era conosciuto come il “prete da galera”, famoso anche per la vicenda legata alla consegna dell’arsenale delle Brigate Rosse. Si terranno domani i funerali di don Luigi Melesi, il salesiano morto a Lecco all’età di 85 anni. Il rito dovrebbe svolgersi prima a Milano poi nella natìa Cortenuova dove verrà anche tumulata la salma.
“Da autentico Figlio spirituale di Don Bosco – spiega I’Agenzia Infosalesiana – non si rassegnò mai a considerare irrecuperabile neppure il peggiore dei delinquenti e in tutti cercava ‘quel punto accessibile al bene’ da cui avviare una cambiamento di rotta”.
Nato nel 1933, già durante il suo percorso formativo visse la missione salesiana tra i ragazzi del riformatorio “Ferrante Aporti” di Torino. In seguito, nel 1960, appena ordinato sacerdote lavorò per 7 anni come insegnante, educatore e catechista nel centro salesiano “San Domenico Savio” di Arese, alle porte di Milano, affidato nel 1955 ai Salesiani dopo essere stato carcere minorile dell’Associazione Nazionale Beccaria. In quel periodo conseguì anche la Laurea in Lettere. Nel 1967 condusse il primo gruppo di 25 giovani in Brasile, dando inizio, insieme a don Ugo De Censi e a don Bruno Ravasio, all’“Operazione Mato Grosso”. Quindi venne nominato Direttore della Casa Salesiana di Darfo, provincia di Brescia. Nel 1970 ritornò ad Arese come Direttore e confidente di quei ragazzi inviati al centro salesiano dai tribunali minorili di tutta Italia.
“L’esperienza di Arese vissuta con i ragazzi in difficoltà – spiega ancora InfoSalesiana – portò l’allora arcivescovo di Milano, il card. Giovanni Colombo, a richiedere la sua collaborazione come cappellano nel carcere “San Vittore” a Milano. Lì don Melesi servì per ben 30 anni, incontrando tutti i giorni detenuti di ogni razza e religione, diventando loro amico e fratello: in quel servizio dietro le sbarre conobbe terroristi, rapinatori, assassini, malavitosi, ma anche tanta gente semplice, in carcere per reati comuni. Il suo stile era quello di non mettere mai al centro il reato, ma la persona”.
La vicenda umana e pastorale di don Melesi è legata anche alla consegna delle armi, un vero e proprio arsenale, da parte dei terroristi delle “Brigate Rosse” avvenuta nell’arcivescovado di Milano il 13 giugno del 1984 nelle mani del card. Carlo Maria Martini di cui il sacerdote fu intimo collaboratore e consigliere. La decisione dei terroristi fu infatti preceduta dalla preziosa e indispensabile opera di accompagnamento e mediazione del salesiano.
Negli ultimi anni, finché le condizioni di salute gliel’hanno permesso, ha condiviso la sua esperienza in modo sapiente ed efficace attraverso conferenze, incontri, raduni degli ex-allievi e anche attraverso varie pubblicazioni – tra cui il libro intervista “Prete da galera”, di Silvio Valota.
La sua eredità spirituale può essere racchiusa in due frasi che ne compendiano lo stile di vita e l’azione a favore dei detenuti, un’opera di misericordia che anche l’attuale Pontefice apprezza tantissimo: “Non è possibile aiutare una persona a cambiare la sua vita in meglio, se non ci si mette dalla sua parte, se non si prende a carico la sua vita e la sua storia” e “Una persona, per diventare buona, deve sentirsi amata”.