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“La corruzione distrugge le persone”

Di seguito riportiamo la conferenza stempa di Papa Francesco avvenuta sul voto di ritorno a Roma al termine del Viaggio Apostolico in Cile e Perù

Cosa si porta a casa dal viaggio in Perù?

«L’impressione di un popolo credente che attraversa molte difficoltà e che le ha attraversate storicamente, ma che ha una fede che impressiona. Una terra di santi, è il popolo latinoamericano che ha più santi. Mi porto via dal Perù un’impressione di allegria, di fede, di speranza, e soprattutto molti bambini! La stessa immagine che ho visto nelle Filippine e in Colombia, papà e mamme che alzano i bambini… e questo dice futuro, dice speranza. Custodite la ricchezza, non solo quelle del museo, della santità e delle sofferenze, ma anche questa ricchezza».

La classe politica in Perù ha defraudato il popolo, c'è stato l'indulto per Fujimori, che risposte dà?

«C’è il problema della corruzione. So che anche in alcuni paesi d’Europa c’è corruzione. In America Latina però ci sono tanti casi. Si parla molto di Odebrecht, ma è soltanto un esempio. L’origine della corruzione direi che è il peccato originale che ognuno porta in sé. Ho scritto un libro piccolo tanti anni fa che si chiama “Peccato di corruzione”. Il tema è peccatori sì, corrotti no. Tutti siamo peccatori. Il peccato non mi fa paura, ma la corruzione sì, la corruzione vizia l’anima e il corpo. Una persona corrotta è così sicura di sé che non può tornare indietro. Anche l’imprenditore che paga la metà ai suoi operai è un corrotto. E una mamma di casa che tratta la governante in un certo modo è una corrotta. Una volta ho parlato con una persona che trattava il personale domestico in modo non nobile. Gli dissi: “È peccato”. E lui: “Non si può paragonare questa gente a me, questa gente è lì per questo”. Ecco, questa persona è corrotta. Nella Chiesa c’è corruzione? Sì, ci sono i corrotti. Nella storia della Chiesa sempre ci sono stati. Donne e uomini di Chiesa sono entrati nel gioco della corruzione».

Cosa pensa della vicenda del Sodalizio, l’istituto di vita consacrata peruviano il cui fondatore è stato riconosciuto colpevole di abusi?

«Il caso del Sodalizio è iniziato con una denuncia di abuso non solo sessuale, ma anche di manipolazione di coscienza. Il processo è arrivato presso Santa Sede, si è data una condanna senza che la persona venisse espulsa. Ora vive da sola, con una persona che lo aiuta. Questa persona si dichiara innocente e ha fatto appello alla Segnatura apostolica che è la suprema corte di giustizia: ora è in appello. Il processo è stata l’occasione perché altre vittime aprissero un loro processo civile ed ecclesiale. È intervenuta anche la giustizia civile che in questi casi di abuso è sempre conveniente, è un diritto. Sono emerse anche cose sfavorevoli nei confronti della figura del fondatore. Insomma, c’erano tante cose non chiare e infatti ho mandato un visitatore nella persona del cardinale Tobin, che sta a sua volta scoprendo cose non chiare, a livello economico. Uno studio ha quindi raccomandato di commissariare il Sodalizio. Tanto che oggi è commissariato. Un caso simile è quello dei Legionari di Cristo che già è stato risolto: Benedetto XVI non tollerava queste cose e io ho imparato da lui a non tollerarle».

Però parlando del vescovo di Osorno, Juan Barros, ha accusato di calunnia le vittime. Perché non crede alle vittime e crede a Barros?

«Sugli abusi proseguo la linea della tolleranza zero iniziata da Benedetto XVI. In cinque anni non ho firmato alcuna richiesta di grazia. Quando si toglie a un prete abusatore lo stato clericale la sentenza è definitiva, tuttavia questa persona ha il diritto di fare appello. Se anche l’appello conferma la prima sentenza può appellarsi al Papa e chiedere la grazia. In cinque anni ho ricevuto venticinque richieste di grazia, ma non ne ho firmata nessuna. Il caso del vescovo Barros l’ho fatto studiare, investigare. Devo dire che non ci sono evidenze di colpevolezza. Aspetto alcune evidenze per cambiare posizione, altrimenti non posso che applicare il motto “nemo malo nisi probetur”. A Iquique ho risposto alla domanda di un giornalista su Barros. Ho detto che il giorno che avrò una prova parlerò. So che molta gente abusata non può mostrare delle prove, non le ha e non può averle o se la ha si vergogna. Il dramma degli abusati è infatti. tremendo. E così non parlerei più di prove ma di evidenze. Recentemente, ad esempio, mi è toccato di incontrare una donna abusata di 40 anni, sposata con tre figli. Questa donna non riceveva più la comunione perché nella mano del prete vedeva la mano dell’abusatore. Insomma, la parola prova non è stata la migliore da usare. Ora direi evidenze. Nel caso di Barros, studiato e ristudiato, non ci sono evidenze per condannarlo. Se condanno senza evidenza o senza certezza morale, commetterei io un delitto di mal giudizio».

Il cardinale O Malley ha fatto una dichiarazione su Barros dicendo che le sue parole sono state fonte di dolore…
«Ho visto la dichiarazione. Sono state parole giuste. Con questa mia espressione non felice – la prova – ho arrecato dolore. La parola calunnia poi mi ha fatto pensare. Io non ho sentito alcuna vittima di Barros. Non sono venuti, non ho potuto parlare con loro, non si sono presentati. Su una cosa dobbiamo essere chiari che chi accusa senza evidenza e con pervicacia è calunnia. Se viene una persona con una evidenza sono il primo ad ascoltarlo».

Perché ha lasciato scadere la Pontificia Commissione per la tutela dei minori?

«La commistione durava tre anni. E’ scaduta ma ora è allo studio la nuova commissione che verrà rinnovata. La scorsa settimana mi è arrivato l'elenco delle persone da nominare. Ci sono alcune cose da chiarire, perché le persone nuove si studiano. O'Malley ha lavorato bene».

È stata pubblicata una lettera ai vescovi cileni che anticipa la possibilità per Barros di avere un anno sabbatico e allontanarsi dalla sua diocesi. Cosa dice?

«Devo spiegarla questa lettera, perché è a favore della prudenza. Quando è scoppiato lo scandalo Karadima – il prete condannato per abusi sessuali di cui Barros è stato segretario – si incominciò a valutare quanti sacerdoti che erano stati formati da lui ed erano stati abusati o sono diventati a loro volta abusatori. Ci sono in Cile quattro vescovi che Karadima ha seguito quando erano seminaristi. Qualcuno della conferenza episcopale cilena ha suggerito che rinunciassero, che dessero le dimissioni, che si prendessero un anno sabbatico, per evitare accuse, perché sono vescovi bravi, buoni vescovi. Anche a Barros si diceva di chiedergli le dimissioni. Quando tuttavia è venuto a Roma ho detto no: così non si gioca, perché questo è ammettere una colpevolezza previa, e ho respinto le dimissioni. Poi quando è stato nominato vescovo di Osorno sono continuate le proteste. Ho ricevuto le dimissioni una seconda volta: e ho detto ancora “no, tu continui”. Intanto si continuò a indagare su di lui, ma non sono arrivate evidenze. Non posso condannarlo, non ho le evidenze, e sono convinto che è innocente. Cosa provano le vittime? A loro devo chiedere scusa, perché la parola prova li ha feriti. Chiedo scusa se le ho ferite senza accorgermi, ma l’ho fatto senza volerlo, e mi fa tanto dolore. Sentire che il Papa dice loro “portatemi una lettera con la prova” è uno schiaffo. Mi sono accorto che la mia espressione non è stata felice. È quello che posso dire con sincerità. Barros resterà lì se non trovo il modo di condannarlo, se non trovo evidenze».

Perché per lei la testimonianza delle vittime non è un’evidenza?

«La testimonianza delle vittime è sempre un’evidenza, ma nel caso di Barros non c’è evidenza di abuso. Non c’è evidenza che abbia coperto. Sono disponibile a ricevere un’evidenza ma al momento non c’è».

Come risponde a chi dice che la sua visita in Cile sia stato un fallimento, per la poca gente che c’era e per il fatto che la Chiesa è più divisa di prima?

«Per quanto riguarda il Cile: sono contento, non mi aspettavo tanta gente per strada, e questa gente non è stata pagata per venire!».

In Amazzonia ha parlato della minaccia dei gruppi economici sulla foresta e i suoi abitanti ma anche della perversione di alcune politiche ambientaliste. Cosa pensa?

«Sì, in quella zona per proteggere la foresta alcune tribù sono state tagliate fuori. La stessa foresta è finita per essere sfruttata. Ci sono statistiche. Alcune tribù sono rimaste fuori dal progresso reale».

Per quanto riguarda la celebrazione del matrimonio sull’aereo, cosa direbbe ai parroci?

«Uno di voi mi ha detto che sono matto a fare queste cose. La cosa è stata semplice. Il signore era presente anche nel volo precedente il matrimonio. Lei non c’era, c’era solo lui. Ho parlato con lui, abbiamo fatto una bella chiacchierata. Il giorno dopo sul volo c’erano tutti e due. Quando abbiamo fatto le foto, mi hanno raccontato che erano sposati civilmente e che volevano sposarsi in chiesa ma che il giorno prima del matrimonio la chiesa crollò per il terremoto. Questo accadde otto anni fa. “Domani lo facciamo”, si sono detti, ma poi la vita prosegue, arriva una figlia, un’altra… “ma sempre abbiamo avuto nel cuore questo desiderio”, mi hanno detto. Li ho interrogati un po’ e le risposte erano chiare. Mi hanno raccontato che hanno fatto i corsi prematrimoniali, erano preparati, ho giudicato che lo erano. Le condizioni erano chiare e allora perché non fare oggi quello che si può rimandare a domani. Quindi direi ai parroci che il Papa li ha interrogati bene, che era una situazione regolare».

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