Un cuore infiammato e circondato da spine. In quest'icona “paradossale” si svela il centro di quella che Papa Francesco definisce la “teologia del popolo”: la festa del Sacratissimo Cuore di Gesù rappresenta, per i Cattolici di tutto il mondo, l'occasione per fare memoria dell'amore di Gesù Cristo per i figli di Dio. Attenzione, però, a considerarla una immaginetta. Come sottolineò Papa Francesco in un'omelia pronunciata a Santa Marta due anni fa, il Sacro Cuore è il “cuore della rivelazione, il cuore della nostra fede, perché Lui si è fatto piccolo, ha scelto questa via”.
Una devozione attraverso i secoli
Le prime tracce di questa festa si ravvisano negli scritti di alcuni mistici medievali, come Matilde di Magdeburgo, Matilde di Hackeborn e Gertrude di Helfta e il domenicano Enrico Suso. L'impulso all'istituzione di una festa liturgica si deve, però, alla santa e mistica Margherita Alacoque la quale, aiutata dal confessore gesuita Claude de la Colombière, rivelò i suoi dialoghi mistici con Cristo. Prima di lei, San Giovanni Eudes aveva ottenuto, dal vescovo della città di Rennes, di celebrare una festività dedicata al Sacro Cuore all'interno della sua comunità. Su impulso dei due santi, nel 1765 Papa Clemente XIII accordò la solennità del Sacro Cuore di Gesù alla Polonia e all'Arciconfraternita romana del Sacro Cuore, ma la concessione aprì un dibattito in seno alla Chiesa stessa, con i giansenisti che ravvisavano nel culto al “cuore di carne di Cristo” un atto di idolatria. A un altro santo, Alfonso Maria De' Liguori, va il merito di aver favorito la devozione popolare grazie all'operetta sacra La Novena al Sacro Cuore. Davanti a una devozione così radicata nel popolo, il beato Papa Pio IX estese la solennità alla Chiesa universale, inserendola nel calendario liturgico. Un secolo dopo, il 15 maggio 1956, il Venerabile Pio XII pubblicò l'enciclica Haurietis aquas, con la quale venne promosso il culto al Cuore di Gesù, esortando i credenti ad aprirsi al mistero di Dio e del suo amore per farsi trasformare. Il Cuore di Gesù richiama alla Sua Persona che, con un cuore così grande, ha dato la Sua vita per i figli di Dio. Come ricorda il documento, viene adorato “il Figlio Unigenito del Padre, Gesù Salvatore e Redentore” perché “parlare del Cuore di Gesù è parlare dell’amore di Dio per gli uomini”. Durante l'Angelus del 1 giugno 2008, anche l'allora Papa Benedetto XVI spiegò le tracce di tale devozione: nell' “orizzonte infinito del Suo amore, infatti, Dio ha voluto entrare nei limiti della storia e della condizione umana, ha preso un corpo e un cuore; così che noi possiamo contemplare e incontrare l’infinito nel finito, il Mistero invisibile e ineffabile nel Cuore umano di Gesù, il Nazareno”.
La teologia del Cuore di Cristo
Col proliferare della devozione popolare, i teologi cominciarono a gettare le fondamenta del culto al Sacro Cuore. Il teologo gesuita, Joseph De Gallifet, partendo dalle visioni ricordate da Santa Margherita Alacoque, indagò la natura profonda della devozione risentendo, tuttavia, del simbolismo naturale in auge in quel secolo: “Cuore adorabile di Gesù indica il cuore di carne, non considerato separato dalla sua persona divina; significa poi l'amore di Gesù per il Padre e per gli uomini”. Il limite di quest'analisi stava, a detta dei critici, nel “riduzionismo” del culto a una base puramente affettiva, cioè una concezione culturale. Per questo, l'accezione dell'Amore divino limitata al “cuore di carne” suscitò l'ostilità dei giansenisti e il dissenso dello stesso cardinale Prospero Lambertini, futuro Papa Benedetto XIV. A dipanare la confusione, il 25 gennaio 1765, la Congregazione dei Riti emise il decreto di approvazione del culto liturgico del Sacro Cuore, precisando che il “cuore fosse simbolo dell'amore”. Con la già menzionata enclica “Haurietis Aquas”, Papa Pio XII sintetizzò e chiarificò i punti teologici ancora in sospeso. Sebbene venga ricordato come il Cuore fisico di Cristo sia “parte nobilissima dell'umana natura e quindi ipostaticamente unito alla persona del Verbo”, il documento indaga il senso del “cuore etico”, includendovi tutto il Mistero della salvezza.
Il contributo del teologo Rahner
Partendo dalla teologia della Rivelazione, il teologo tedesco gesuita, Karl Rahner, concepisce il simbolo del cuore nel suo significato antropologico e dimostra che, nella sua trascendenza, esso “si apre” in un atto di “rivelazione” della realtà divina-umana di Gesù: in questo modo l'uomo, leggendo tale simbolo, arriva a nuove profondità di conoscenza: (…l'uomo) “chiama cuore questa interiorità originaria, fondamentale e unificatrice della sua realtà unitaria, che è corporea e spirituale come egli stesso”. Per il teologo tedesco, il cuore è un'immagine potente perché riassume la complessità dell'esperienza che l'uomo ha di se stesso e della sua interiorità: “Non ci si può perciò domandare se, parlando di cuore, intendiamo il muscolo o qualcosa di spirituale. Con questa domanda siamo già fuori della realtà originaria di tutto l'uomo significata dal nostro termine”. Secondo Rahner, il Cuore di Cristo svela, così, il significato più profondo della natura umana: facendosi mediatore del significato del suo rapporto con il mondo, il Cuore rappresenta la salvezza per gli uomini mediata da Cristo. In questo modo, l'umanità di Gesù, conseguenza necessaria della sua incarnazione, rende comprensibile appieno il simbolo del Cuore di Cristo. Nella sua indagine, Rahner supera anche le critiche al simbolismo culturale contestato al teologo De Gallifet: “L'uomo apprende per la prima volta che il più intimo della realtà umana è l'amore (…) soltanto quando egli arriva a conoscere il Cuore del Signore. 'Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini': questa non è un proposizione analitica derivata dal concetto di cuore, ma la conseguenza sconvolgente della esperienza della storia della salvezza”. La potenza del Cuore di Cristo, che la devozione popolare aveva colto nella sua semplicità, sta nell'esperienza di grazia che Gesù, attraverso questo “segno”, infonde agli uomini. Dopotutto, questo è il significato, più profondo e semplice, di tale devozione ultracentenaria.