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I genitori di Wojtyla verso la beatificazione

La casa in cui è nato è stata autenticamente per Karol Wojtyla una chiesa domestica. E i suoi genitori gli hanno insegnato, e soprattutto testimoniato con comportamento ed esempio, la fede quotidiana, quella degli umili, in grado di formare la personalità e la spiritualità del futuro Pontefice santo. Emilia Kaczorowska morì quando il futuro pontefice aveva solo 9 anni. Il padre di Wojtyla, anch’egli di nome Karol, morì invece nel 1941, durante la Seconda guerra mondiale.

A cento anni dalla nascita di Giovanni Paolo II

“Nel corso della 384° plenaria dell’episcopato polacco, i vescovi hanno discusso diversi aspetti delle celebrazioni del 100° anniversario della nascita di Karol Wojtyla che cadrà il 18 maggio 2020”, riferisce Avvenire. L’arcidiocesi di Cracovia ha ottenuto così da parte della Conferenza episcopale, come riporta l'agenzia Sir, l’assenso a rivolgersi alla Santa Sede per il nulla osta all’istruzione a livello diocesano del processo di beatificazione dei genitori di Giovanni Paolo II, Karol Wojtyla e Emilia Kaczorowska.

Vita familiare e contesto storico

Karol Wojtyla aveva vissuto in prima persona la Seconda guerra mondiale, e i due totalitarismi che ne avevano rappresentato le maggiori ideologie”, sottolinea l’ex direttore dell’Osservatore Roma, Gianfranco Svidercoschi, amico e collaboratore di Giovanni Paolo II. Inviato dell’Ansa dal Concilio Vaticano  II, è stato testimone degli eventi più significativi della Chiesa nell’ultimo mezzo secolo. Molto vicino a Giovanni Paolo II, con cui ha collaborato nella stesura di “Dono e Mistero” (1996), è autore di numerosi libri, tra i quali “Ho vissuto con un santo”, scritto a quattro mani con l’ex segretario del Pontefice polacco, il cardinale Stanislao Dziwisz. “In qualche modo, aveva vissuto da vicino anche la mostruosa vicenda della Shoah; tanti suoi amici e compagni di scuola erano scomparsi nei campi di sterminio nazisti – spiega Svidercoschi -. Naturale, perciò, che Giovanni Paolo II fosse portatore di un’altra visione del mondo e della storia. Così come fosse portatore di una concezione, altrettanto speciale, circa il modo di intendere il messaggio di Cristo, di viverlo, e di testimoniarlo nella quotidianità della vita”.

L’impronta di una fede autentica

“Era nato in una Polonia libera, Karol”, afferma Svidercoschi.  Aveva solo nove anni quando aveva perduto la mamma (più tardi la ricorderà con una bellissima poesia: “Sulla tua bianca tomba/ sbocciano i fiori bianchi della vita./ Oh quanti anni sono già spariti/ senza di te…”); ma il padre, un ex ufficiale in pensione, era stato straordinario nel “supplire” a quella assenza. Poi, la scuola. “Il teatro, grande passione, grande futuro. L’università. E, improvvisamente, il buio. Un buio spaventoso, totale”, ricostruisce Svidercoschi. Quel giorno, 1° settembre del 1939, “non si cancellerà più dalla mia memoria”, aveva confessato. Karol era fuggito con il padre dai nazisti che avanzavano a Ovest; ma, dopo aver percorso a piedi duecento chilometri, era stato costretto a invertire il cammino, perché a Est le truppe sovietiche stavano entrando in Polonia. “Il giovane Wojtyla aveva vissuto sulla sua pelle il famigerato patto Molotov-Ribbentrop, Germania e Urss ancora insieme, per spartirsi quel Paese- sostiene Svidercoschi-. Karol perciò era tornato a Cracovia; ma, chiusa l’università, ridotto il teatro alla clandestinità, aveva dovuto cercarsi un lavoro, in una cava di marmo, per non finire in un campo di concentramento”. Anche se aveva rischiato di andarci lo stesso, il giorno in cui il governatore generale aveva ordinato una retata in tutta la città.

La testimonianza di don Stanislao

Ancora una tragedia, ancora un lutto personale, la morte del padre. “E da qui, forse, un’ulteriore spinta alla decisione che Karol comunque aveva già nel cuore, quella di farsi prete – puntualizza Svidercoschi -.Era finita la guerra, e lui, ricevuta l’ordinazione sacerdotale, era andato a Roma per un paio di anni a completare gli studi. E, quando era tornato, aveva trovato la sua patria soggiogata a un altro regime”. Erano cambiate le divise, ma non l’ideologia persecutoria. “Non c’è il minimo dubbio che la spiritualità del futuro santo pontefice si sia formata in famiglia e grazie alla fede dei suoi genitori”. osserva il cardinale Dziwisz. Il porporato si dice convinto che “i genitori del Papa polacco possano diventare un valido esempio per le famiglie moderne” e sottolinea che papa Francesco, durante la cerimonia di canonizzazione ha conferito a Wojtyla proprio il titolo di “Papa delle famiglie”. Emilia Kaczorowska morì quando il futuro pontefice aveva solo 9 anni. Il padre di Wojtyla, anch’egli di nome Karol, morì invece nel 1941, durante la Seconda guerra mondiale.

Patrono della riconciliazione

L’episcopato polacco, nel corso della plenaria ha anche appoggiato l’idea che Giovanni Paolo II diventi patrono della riconciliazione tra polacchi e ucraini, necessaria in seguito ai terribili crimini commessi durante l’ultimo conflitto mondiale. La “teologia del dialogo, della riconciliazione e del perdono” promossa dal Papa polacco “in base ai valori del Vangelo” ha permesso ad entrambi i popoli “di compiere dei passi importanti sulla strada della reciproca comprensione”, concordano i vescovi. Giovanni Paolo II era stato ad Auschwitz. “Non potevo non venire qui come Papa”, aveva detto. “Vengo e mi inginocchio su questo Golgota del mondo contemporaneo”. Ma papa Wojtyla voleva di più. “Pensava a qualcosa che potesse restare nella memoria ma anche nel cuore dell’intero mondo ebraico – rievoca Svidercoschi, testimone d’eccezione delle tappe storiche del pontificato che ha cambiato la storia del ventesimo secolo -. E nel riferirsi alle lapidi che commemorano le vittime del nazismo, Wojtyla fece una aggiunta a sorpresa: accennò anche alla lapide russa, per sottolineare le sofferenze di quella nazione nella lotta per la “libertà dei popolo”. Polacco sì, ma non di parte. “Il palco con l’altare era stato eretto nel vicino campo di Birkenau, su quella piattaforma tristemente famosa; si fermavano lì i treni con i vagoni piombati che avevano deportato ebrei da tutta Europa- precisa il decano dei vaticanisti-. Già quella visita, perciò, era stata un gesto di grande spessore, di grande significato”. Un ulteriore presagio di santità.

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