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Hong Kong, la Chiesa in campo

L' amministratore apostolico di Hong Kong è in prima linea per ricostruire la fiducia reciproca fra governo, polizia e popolazione. Un ruolo di rasserenamento sociale che la Chiesa cattolica svolge intrecciando efficacemente sollecitudine pastorale e prospettiva geopolitica. Il cardinale John Tong Hon, parlando della difficile situazione nell'ex colonia britannica, invita le parti alla pace e al dialogo. “Secondo la dottrina sociale della Chiesa, la pace viene sempre da nostro Signore Gesù Cristo, e la pace dovrebbe essere prima di tutto dentro di noi- afferma il porporato-.Educhiamo noi stessi con la nostra preghiera e quindi testimoniamo la pace, o possiamo essere operatori di pace attraverso le nostre parole o il nostro comportamento per contagiare gli altri affinché la pace sia diffusa. E poi, le persone in conflitto dovrebbero sedersi e parlarsi. Così possiamo ottenere la riconciliazione per mettere in pratica quello che il Signore ci chiede di fare: amarci e perdonare le offese ricevute. Questo è il risultato della pace“.

Escalation di tensione

Le autorità di Hong Kong hanno vietato l'ingresso nel territorio al direttore esecutivo di Human Rights Watch, Kenneth Roth. A farlo sapere è l'organizzazione, spiegando che Roth  avrebbe dovuto presentare nella metropoli il rapporto mondiale annuale. Il dossier, ha dichiarato il direttore in un video su Twitter, si concentra sui tentativi della Cina di “minare deliberatamente il sistema dei diritti umani internazionale“.

Pro-democrazia

Il rifiuto al suo ingresso segue la promessa, fatta lo scorso mese da Pechino, di sanzionare le organizzazioni che ha detto “si comportano male” sulle proteste pro-democrazia a Hong Kong. Tra i gruppi citati come obiettivo delle sanzioni, anche Human Rights Watch, National Endowment for Democracy e Freedom House, riferisce LaPresse. Roth, cittadino statunitense, ha scritto su Twitter che le autorità dell'immigrazione all'aeroporto gli hanno comunicato il divieto di entrare a Hong Kong; quando ha chiesto perché, è stato informato che si trattava di “ragioni dell'immigrazione”. Ha anche specificato che è stato molte volte a Hong Kong e mai gli era stato vietato l'accesso. “Il rifiuto al mio ingresso impallidisce rispetto alla persecuzione che gli attivisti cinesi subiscono di routine”, ha aggiunto Roth, “lo sforzo di interferire con il lavoro dei gruppi internazionali come Human Rights Watch è una forma di censura globale cui il governo dovrebbe resistere prima che sia troppo tardi”.

La sfida sui dazi

Un mese e mezzo fa il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha firmato la legge a sostegno dei manifestanti pro democrazia a Hong Kong. Le autorità di Hong Kong hanno espresso “estremo rammarico” e la Cina ha minacciato “dure contromisure“. Ma la complessa tessitura del dialogo tra Washington e Pechino non si è mai interrotta. I negoziatori dei due team stanno lavorando per arrivare alla firma di un pre-accordo che comprenderà i trasferimenti di tecnologia, la proprietà intellettuale, i prodotti alimentari e agricoli, i servizi finanziari e l'espansione del commercio. La Cina aumenterà “significativamente” le importazioni di prodotti agricoli dagli Usa, come carne di maiale, pollame, fagioli di soia, grano, mais e riso, uno dei punti a cui teneva maggiormente il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. La nuova tregua raggiunta da Washington e Pechino ha eliminato il rischio di nuove tariffe al 15% 

In recessione

Intanto alcuni grandi brand del lusso mondiale pensano di lasciare Hong Kong, a sette mesi dall'inizio delle proteste anti-governative che hanno sconvolto l'ex colonia britannica, facendola piombare in recessione tecnica. Louis Vuitton, secondo quanto riporta il South China Morning Post, potrebbe essere il primo dei grandi marchi della moda a prendere provvedimenti: il gruppo parigino sta pensando di chiudere il suo store al Times Square Mall nel distretto dello shopping di Causeway Bay, sull'isola di Hong Kong, dopo che il gestore del centro commerciale, Wharf Real Estate Investment Corporation, si è rifiutato di abbassare il prezzo d'affitto. Hong Kong, evidenzia l'Agi, soffre di un calo dei turisti, che riguarda in primo luogo gli alberghi, e subito dietro, il settore retail. A novembre 2019, il mese più duro delle proteste anti-governative, i turisti sono calati del 56% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, andando a peggiorare una situazione già difficile, per alcuni grandi marchi italiani: Moncler, Gucci e Salvatore Ferragamo già nel terzo trimestre avevano segnato cali delle vendite nella città che arrivavano fino al 45% su base annua. A questi nomi si aggiungono anche quelli della tedesca Hugo Boss e della francese Hermes, che hanno accusato nei bilanci il peso delle proteste.  Hong Kong è una delle piazze più care al mondo per l'immobiliare a uso commerciale, e il rischio è che la spesa (a volte superiore anche a quella di un punto vendita sulla Quinta Strada a New York) possa non essere più giustificata dai ricavi. Fino a prima dell'inizio delle proteste pro-democrazia, l'ex colonia britannica contava per circa il 5% delle vendite retail a livello globale, ma dopo lo scoppio delle turbolenze si stima che oggi quella fetta si sia assottigliata e non superi il 2%.

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