“Il capitale umano” è un bel film di Paolo Virzì del 2013. Ambientato in Brianza, racconta le ipocrisie di un paese ipocrita. “Avete scommesso sulla rovina di questo Paese. E avete vinto”, dice la protagonista del film all’altro personaggio principale, uomo d’affari e speculatore di borsa, in uno dei dialoghi fondamentali della pellicola. Il soggetto narrato è altamente verosimile. L’affarista investe, perde e rivince con gli interessi. Al di là dei numeri quotidiani sulla pandemia, quelli che regolano il nostro stato d’ansia quotidiano, è ineluttabile un fatto. I king maker della finanza mondiale stanno “giocando” sulle sorti del nostro Paese. Il Covid 19 potrà arrestare la corsa del turbo capitalismo di questi ultimi, ma non le operazioni degli speculatori di borsa. L’economia la fanno “girare” le persone, la finanza (meglio, le borse) gli algoritmi. Se ci ostiniamo a non voler notare la differenza, saranno sempre gli speculatori a vincere.
Ecco la lettera pubblicata da Interris (ripresa da Tv e giornali), dove un nonno colpito dal Coronavirus racconta il suo drammatico, quanto toccante, finale di partita, ci mette esattamente al centro di quel dibattito non articolato dalla scienza e dalla politica, ma vivo nelle coscienze interiori. Conta più il capitale umano o il capitale, inteso come arricchimento, come operazione finanziaria? Senza quel nonno, senza la sua storia, siamo tutti più poveri. Dentro e fuori. La memoria, il calore umano, i rapporti familiari, sono valori assoluti capaci di produrre interessi altissimi, ma non monetizzabili. La nostra cultura mediterranea, calda e passionale, ci ha consegnato uno strano rapporto con la morte, fatto di soggezione e diffidenza. Al contrario dei Paesi del Nord, dove è algido il dialogo anche con la l’atto finale della vita umana. E’ un dettaglio, ma fa la sostanza. Ecco, già questo sarebbe sufficiente a chiudere il discorso. A darci il senso del valore del Capitale umano è la forza di quella lettera. Ma sarebbe semplicistico e riduttivo tirare una riga qui, dicendo no a chi scommette sulla rovina del Paese, facendo un torto a quanti sono morti per colpa del virus.
Quella lettera andrebbe letta e riletta, posta come dogma su cosa sia predominante oggi. Invece temiamo fortemente l’opposto. Temiamo la distrazione della politica e la distanza dalla realtà degli economisti, tutti presi a calcolare percentuali di Pil e zero virgola. Per loro, quel nonno, era un decimale. Per noi no. Per noi, ogni bollettino di guerra, è comunque un colpo al cuore e non calcolo percentuale verso l’uscita dalla quarantena. L’aver spinto sino al massimo livello il pedale della paura, ha permesso alla politica una gestione della pandemia meno aggressiva. Il panico blocca, il dubbio innesca dubbi.
L’altalena fra morire di virus o di fame, banalizzando il concetto del Paese economicamente fermo, si è fermata. Ed è ancora ferma. Nei titoli di coda del film di Virzì si viene a sapere che l’assicurazione dell’auto di Massimiliano ha negoziato con i familiari di Fabrizio, vittima dell’incidente da cui prende le mosse la trama del film, un risarcimento di € 218.976,00. “Importi come questo vengono calcolati valutando parametri specifici: l’aspettativa di vita di una persona, la sua potenzialità di guadagno, la quantità e la qualità dei suoi legami affettivi. I periti assicurativi lo chiamano il capitale umano“.
Ecco, quant’è oggi il capitale umano del nostro Paese? Siamo già a 25mila vittime da Coronavirus. Le stime, quelle che non vengono raccontate, prevedono un totale di 50 mila morti da Covid 19. Non so se sia ottimistica o pessimistica, ma di questo ragionano gli esperti. Dunque cosa vogliamo riaprire prima, se l’Europa rischia di chiuderci subito? E’ chiaro che la battaglia contro il Virus bisogna vincerla in fretta, ma tutti insieme, e così quella economica. Se iniziamo ora a perdere pezzi per strada, andando ognuno per conto suo, perderemo tutto, compreso l’intero capitale umano. E quel nonno era un tassello del nostro capitale umano. Per dirla con Erich Fromm non facciamoci corrodere dal dubbio sull’avere o essere. Quel saggio, scritto nel 1967, è ancora molto attuale, e porta il lettore ad interrogarsi su quale strada si stia dando alla propria esistenza. Avere o essere appunto. Speriamo solo sia servita a qualcosa questa lunga quarantena collettiva…