Il Venerdì Santo la morte in croce di Gesù Cristo continua ad essere ricordata non come una delle tante morti di innocenti condannati, ma come quell'unica morte che dà senso a tutte le tragedie umane e a tutto il peccato del mondo. Gesù Nazareno, con la sua sofferenza liberamente accolta, non solo rende ragione di tutto il dolore del mondo, ma se ne fa carico, lo sopporta e lo porta con sé fino al Golgota. La passione di Gesù, che è il momento più profondo di solidarietà di Dio con l'uomo che soffre e che muore, è di una bruciante attualità: egli è in agonia fino alla fine dei tempi.
La sua passione continua oggi in tutte le vittime innocenti delle guerre, del terrorismo, della fame, nelle violenze perpetrate sui bambini e sulle donne, nei cristiani martirizzati, in tutti i malati privi di cure, in tutti gli stranieri rifiutati e disprezzati, in tutti i disoccupati umiliati nella loro dignità e in tutti gli emarginati. Sant'Agostino afferma: “Il nostro capo è già in cielo, e tuttavia soffre ancora quaggiù finché la Chiesa soffre. Quaggiù Cristo ha fame, ha sete, è nudo, è forestiero, è malato, è in carcere. Tutto quello che il suo corpo qui soffre,lo soffre anche lui… Avviene come per il nostro corpo: il capo sta in alto, i piedi stanno per terra. E tuttavia, se nella calca qualcuno ti pesta i piedi, il capo non grida forse: mi hai pestato?” (Sermo 137).
Anche per noi, il processo di Gesù e la sua passione continuano davanti al tribunale della nostra coscienza. Sta a noi scegliere in che veste vogliamo entrare nella storia della passione di Cristo: se nella veste del Cireneo che si affianca a Gesù per portare con lui il peso della croce; se nella veste delle donne che piangono, del centurione che si batte il petto e di Maria che sta silenziosa accanto alla croce; o se vogliamo entrarvi nella veste del popolo che è passato dall’Osanna al Crucifige, di Giuda che lo ha tradito, di Pietro che lo ha rinnegato, di Pilato che si è lavato le mani, degli apostoli che lo hanno abbandonato e delle folla dei curiosi che “guardano da lontano” come vanno a finire le cose. La morte di Gesù non è solo l’abisso estremo della malvagità umana, ma anche il segno supremo di un amore che è più forte della morte.
Nel Venerdì Santo non commemoriamo un morto, ma siamo chiamati a professare la nostra fede in Gesù Cristo morto una volta ma risorto per sempre. Il Dio crocifisso con il fianco squarciato, vuole toglierci il “cuore di pietra” indurito dall’egoismo e donarci un “cuore di carne” che non resti impassibile di fronte alle sofferenze altrui, ma le condivida e e ci conduca all’amore che risana e aiuta.