I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza e la Questura di Napoli, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia partenopea, stanno dando esecuzione, tra le province di Napoli e Caserta, ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 31 persone (22 in carcere e 9 agli arresti domiciliari), gravemente indiziati di appartenere o di aver favorito il clan di camorra “Amato-Pagano”.
Associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, intestazione fittizia di beni, traffico di stupefacenti, aggravati dal “metodo mafioso“, questi i reati a vario titolo contestati agli indagati. Contestualmente, sono in corso, tra Campania, Molise ed Emilia Romagna, sequestri di beni immobili, società e denaro contante per un valore di oltre 25 milioni di euro.
Smantellato il clan Amato-Pagano
Le indagini della Squadra Mobile di Napoli hanno consentito di ricostruire l’organigramma attuale del clan Amato-Pagano, il cui reggente sarebbe Marco Liguori il quale, con l’aiuto di esponenti di spicco storici dell’organizzazione malavitosa, come Fortunato Murolo (individuato dai vertici come probabile successore designato di Liguori ), Salvatore Roselli e Raffaele Tortora, è gravemente indiziato di gestire tutte le attività illecite del clan, con particolare riguardo al traffico e alla vendita dello stupefacente.
L’organizzazione capillare del clan ha consentito la complessa gestione della filiera del narcotraffico, soprattutto attraverso il controllo delle diverse piazze di spaccio dei territori dove gli “scissionisti” (così è soprannominato il clan Amato Pagano dopo la “divisione” dal clan Di Lauro, spiega Ansa) esercitavano il loro potere criminale.
Si tratta, secondo quanto emerso dalle indagini, di una struttura criminale di tipo verticistico, all’interno della quale, come sembra confermato anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, Liguori sarebbe stato l’unico a poter prendere decisioni in merito a tutti gli affari illeciti e a delegare compiti di gestione e incarichi operativi ad affiliati di sua fiducia.
Arrestato il presidente Aicast di Melito
Secondo il Gico della Guardia di Finanza e la DDA di Napoli, A Melito il clan di camorra degli Amato Pagano controllava il territorio in maniera pressoché totale anche grazie alla diretta partecipazione alle attività criminali di Antonio Papa, 59 anni, (messo in carcere), presidente dell’A.I.C.A.S.T., l’associazione che rappresenta categorie commerciali, industriali e artigianali operanti della città del Napoletano.
Secondo gli inquirenti, attraverso il suo ruolo, il presidente favoriva il clan attraverso i rapporti con commercianti e imprenditori. La sede dell’A.I.C.A.S.T. di Melito era considerata il “quartier generale” di gran parte dei membri del clan Amato Pagano: lì, infatti, si sarebbero tenuti dei summit di camorra finalizzati a stabilire le strategie criminali da adottare.
Non solo: secondo gli inquirenti, nella sede dell’associazione, a Melito, si tenevano anche gli incontri con le vittime delle estorsioni. La sede dell’Aicast figura tra i beni, per circa 25 milioni di euro sequestrati tra Campania, Molise ed Emilia-Romagna, tra cui figurano anche 18 aziende, 5 delle quali operanti nel settore delle onoranze funebri, 12 tra fabbricati e terreni, 34 autoveicoli e denaro su oltre 300 rapporti finanziari.
L’omicidio di lupara bianca di D’Andò
I rapporto tra le due famiglie di scissionisti non sono sempre state idilliache. Nell’ottobre del 2018 il clan Pagano venne ritenuto responsabile dell’omicidio per lupara bianca di Antonino D’Andò, di cui si erano perse le tracce il 22 febbraio del 2011.
D’Andò – luogotenente di un boss – venne ucciso per evidenziare la fine che meritavano coloro che, come lui, non si erano allineati ai nuovi assetti di vertice del clan. Antonino infatti era legato al boss Carmine Amato, capo dell’omonimo clan ‘scissionista’ e non vedeva di buon occhio l’ascesa al potere di Mariano Riccio, genero di Cesare Pagano, capo dell’altra componente degli “scissionisti”.
D’Andò fu attirato in trappola: venne convocato per una riunione in uno dei covi del clan, per essere subito ucciso da un parente della famiglia Pagano – che così se ne assunsero la diretta responsabilità – e, secondo quanto si è appreso, sciolto nell’acido. Le indagini consentito di individuare mandanti ed esecutori dell’omicidio che costituì un’epurazione interna decisa dalla componente del clan facente riferimento a Riccio ai danni del clan Amato.