Anche se all’ultimo minuto, Netanyahu ha annunciato al presidente di aver ottenuto mercoledì sera, quasi due mesi dopo le elezioni, un accordo per il nuovo Governo con una maggioranza risicata. Una coalizione raggiunta in extremis, entro i termini posti da Reuven Rivlin e dopo i quali sarebbe stato costretto a lasciare l’incarico ad un altro partito. Il premier è al suo quarto mandato al governo e quest’ultima trattativa è stata lunghissima ma soprattutto difficile da portare a conclusione, in particolare dopo che il 4 maggio il ministro degli Esteri uscente e ultranazionalista Avigdor Liebermann ha annunciato che non avrebbe avuto alcuna intenzione di entrare nuovamente nell’esecutivo insieme a Netanyahu.
L’intesa raggiunta con il partito nazionalista religioso Casa Ebraica, ha permesso al leader Naftali Bennett di pretendere almeno il ministero della Giustizia in cambio dell’appoggio dei suoi 8 parlamentari. Sebbene sia riuscito a salvarsi “in calcio d’angolo”, la maggioranza ottenuta non appare solida, solo 61 seggi su 120, un voto in più della soglia limite. Un altro tallone d’achille del governo è la sua formazione completamente a destra, un fattore che rischia di isolare Israele più di quanto non lo sia ora, soprattutto con il partito di Bennett contrario alla creazione di uno stato palestinese e da tempo deciso sul tema dell’annessione di alcuni territori occupati.