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UN VESCOVO DI STRADA

[cml_media_alt id='9311']vecerrica2[/cml_media_alt]Un “pretino”, come lo chiamava Giovanni Paolo II, che non solo è diventato vescovo ma ha ideato un pellegrinaggio che vede la partecipazione di oltre 65.000 persone diventando il più alto partecipato in Italia. Mons. Giancarlo Vecerrica, classe 1940, fin da piccolo era un vulcano di idee, e negli anni non ha mai perso la voglia di osare, di provare strade nuove.

Come ricorda la sua infanzia? Stavamo in campagna, poverissimi, mezzadri, dunque metà veniva dato ai padroni che erano gli zii. Eravamo quattro (un fratello e una sorella più grandi e una sorella più piccola), e d’inverno mi ricordo il lettone dei genitori come una “piazza” dove giocare tutti insieme; non c’era riscaldamento, e dunque era un modo anche per non prendere freddo. Ricordi difficili, come quando i tedeschi vennero ad arrestare mio padre. Avevo 4 anni e insieme ai miei fratelli gli corremmo dietro disperati. Mio padre aveva la sciatica e camminava male, alla fine lo buttarono nel fosso e lo lasciarono lì. Per fortuna, perché gli altri furono fucilati.

Quando entrò in Seminario? Sono entrato a 10 anni. Era tutta un’altra vita, per uno come me che ha sempre vissuto una lotta amicale con la povertà; lì c’erano anche seminaristi figli di signori, e allora per esempio la merenda del pomeriggio era un momento particolare; ce la dovevamo portare da casa, e mentre io avevo i frutti della nostra campagna – un po’ d’uva e fichi messi una scatola delle scarpe – i ricchi portavano la banana, che era un frutto esotico e costoso all’epoca. Mai comprate cose nuove, solo calzini di seconda mano, vestiti racimolati…

Quando è arrivata la vera vocazione? Io ero contento della vita di seminario, potevo studiare, giocare, stare insieme agli altri. Dopo il terzo liceo è venuta la crisi: era nato un qualcosa, un sentimento verso una ragazza, pur senza alcun contatto… Eppure vivevo la cosa come un tradimento, una sofferenza, tanto che in alcune foto dell’epoca sono irriconoscibile. E così capii che servire il Signore per me era più bello.

Come ricorda il giorno in cui è diventato sacerdote? L’Ordinazione fu un momento complesso perché ci dovevamo preparare bene, c’era il cardinale. Ricordo invece con grande emozione ancora viva [cml_media_alt id='9309']DSC01267[/cml_media_alt]la prima messa, in una parrocchia di campagna. Mi vennero a prendere con la moto; tre chilometri di strada brecciata, mi imbiancai tutta la tonaca. Poi la processione e l’omelia del rettore.

Ci ha detto come è diventato prete, ma come si diventa Vescovo? Arrivò una telefonata al cellulare; era il 21 dicembre, sabato pomeriggio prima di Natale, io ero a passeggio a Macerata con i miei studenti: “Il Nunzio vorrebbe parlarle con urgenza”. Andai, e tirò fuori una lettera.

Cosa c’era scritto? Mi disse: ”Il Papa sabato mattina ha firmato la tua nomina a Vescovo. Adesso ti metti lì, ti do un foglio (perché al Papa si scrive a penna, ndr) e rispondi sì o no. Io non volevo, però dire di no al Papa è dura.

E cosa fece? Presi tempo, approfittando del fatto che c’era Natale… Verso il 27 mi chiamarono: ‘La lettera ancora non è arrivata!” Allora mi sbrigai e accettai questa nuova missione”.

[cml_media_alt id='9314']DONGIUSSANI[/cml_media_alt]Come ha conosciuto don Giussani? Ero insegnante di religione al Classico e c’erano alcune mie studentesse di Civitanova Marche che parlavano sempre di don Giussani e anche di Gesù. Ci furono le prime assemblee infuocate del ’68 nelle quali contestavano l’autoritarismo dei professori. Andarono a parlare queste ragazze: “Noi diciamo che la soluzione dei nostri problemi scolastici ce l’ha Gesù. Se volete conoscerla venite ai nostri incontri”. Mi arrabbiai con loro: Che c’entra Gesù con le vostre rivendicazioni?!”. Poi però incontrai don Giussani a Imola; tornai cambiato. Parlava di Gesù come persona di oggi, che c’entra con tutta la mia vita. E per me fu una scoperta…

Cosa le ha lasciato? “La consapevolezza che Dio c’entra con l’uomo, con la strada; che si è incarnato proprio per cambiare la vita quotidiana di ciascuno di noi”.

Cosa vuol dire appartenere a Cl e perché a volte l’associazione viene contestata? Don Giussani diceva: non dev’essere un’associazione, non dev’essere neanche un movimento. E’ il modo di essere cristiani oggi. Non voleva fondare un movimento, poi la storia lo ha portato a crearlo per necessità. Lui era obbedientissimo al Papa e ai vescovi; preferiva soffrire ma obbediva sempre. Ecco, anche da qui partivano le critiche: lo si accusava di integralismo. Forse poi qualcuno nel tempo ha interpretato male i suoi insegnamenti e ha preso il Vangelo come base da utilizzare per la pratica politica o economia; questo ha prestato il fianco alle critiche.

Com’è nata l’idea del pellegrinaggio? Anche i ragazzi che non erano credenti, sulla scorta dell’impatto che le mie lezioni di religione avevano sui giovani, venivano alla messa. Alcuni che avevano l’esonero perché provenienti da famiglie laiche poi mi chiedevano di restare. Un professore di filosofia agnostico chiese di poter partecipare all’ora di religione. Tutto molto bello, però la fine dell’anno scolastico inevitabilmente distruggeva tutto, il distacco spazzava via incontri, dialogo e rapporti. Ho pensato: devo trovare un anello che congiunga anno scolastico, le vacanze e la ripresa.

E dunque? Inventai i campi di lavoro, alla luce degli insegnamenti di don Milani: preside, professori e studenti andavamo a dare una mano ai contadini. Un’esperienza che finì nel momento in cui pensai a un nuovo appuntamento: il pellegrinaggio, appunto. Nel ’78 organizzai la prima edizione, ma fu tragico: partimmo in 300 studenti, a mezzanotte, sotto una pioggia torrenziale. Sbagliammo strada… Pensai “questi non tornano più”. A ottobre fu eletto Giovanni Paolo II, e nel settembre ’79 venne a Loreto. Chiamo tutti quelli del pellegrinaggio per andare nuovamente a Loreto: e alla fine il Papa mi volle abbracciare. “Santo Padre, duemila giovani…”. E lui: “Lo so, lo so: me li devi curare uno ad uno”.

Qual è stato il suo rapporto con i Papi? Io grazie a Dio ho avuto sempre questa educazione al rapporto filiale col Papa. Con Giovanni Paolo II ho avuto un rapporto amicale, quasi. Con Benedetto XVI la [cml_media_alt id='9312']DSC01265[/cml_media_alt]stessa cosa, e così anche con Papa Francesco, che il mercoledì prima del pellegrinaggio accende la fiaccola della pace che poi a piedi i maratoneti portano a Macerata.

Come vede la Chiesa oggi? E’ una nuova primavera. La Chiesa vive le vicende umane nella storicità e nella drammaticità degli eventi, ma con Papa Francesco è tornata ad essere il punto di riferimento per tutti, credenti e non credenti.

E la politica? Male. Una continua illusione che si dà alla gente, una promessa di rinascita quando invece la logica reale è tutelare gli interessi particolari di alcuni che dominano su tutto. Chi ha il potere, non deve fare i progetti e finanziarseli, ma deve sostenere i progetti degli altri. Da noi ancora dominano i circoli di potere fatti da persone con i soldi.

Ha fatto qualche sbaglio da Vescovo? Tanti. Per esempio appena arrivato, col mio attivismo ho cominciato a organizzare tutto senza coinvolgere i preti e la comunità di fedeli. Dopo i primi piccoli fallimenti ho capito che il cammino andava fatto insieme, passo dopo passo. E adesso mi sento veramente uno del popolo.

 

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