Picchiate, violentate e detenute in vere e proprie cliniche lager. Tutto ciò per essere “rieducate” dal regime. È accaduto nella Germania dell’Est, fino alla caduta del muro di Berlino (9 novembre 1989). Frammenti di questa verità taciuta per anni passano oggi dalle fessure della storia grazie al coraggio di alcune sopravvissute.
Storie nascoste
A svelare questo controverso aspetto della storia del Novecento è stato il Süddeutsche Zeitung, importante quotidiano tedesco. Si stima che siano state almeno tremila le donne che ogni anno venivano rinchiuse in speciali strutture sparse su tutto il territorio della Repubblica democratica tedesca (Ddr) per presunte malattie veneree o altri virus sessualmente trasmissibili. Medici e infermieri senza scrupoli sottoponevano queste donne a umilianti controlli, tali da calpestarne la dignità e da provocare dolori atroci. Il quotidiano tedesco ha raccolto testimonianze di sopravvissute che denunciano – trovando forza dopo decenni di silenzio – regole ossessive, visite ginecologiche traumatizzanti e castighi insopportabili, che andavano dalla coercizione a rimaner sveglie alle violenze sessuali.
Rieducata
È impressionante il racconto che offrono alle pagine del Süddeutsche Zeitung due di loro, tra cui Bettina Weben. A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, a causa della morte di sua madre finisce in un istituto di minori. Qui, in piscina, incontra un giovane lavoratore ungherese. Si invaghisce di lui e fugge dall’istituto per raggiungerlo nella sua casa tedesca.
La giovane viene però intercettata dalla polizia, che va a prelevarla e, anziché riportarla nell’istituto per minori, la trasferisce in un ospedale ad Halle, in Sassonia. È l’inizio di un incubo. Nella struttura Bettina è sottoposta a settimane di invasive visite per scoprire presunte malattie sessuali. Anziché indossare i propri abiti, è costretta a coprirsi soltanto con un cappotto grigio. Si sente impotente e frustrata, rinchiusa in una stanza senza nemmeno la possibilità di aprire le finestre. Un giorno chiede a un funzionario il motivo di questo trattamento. “Per impedire altre situazioni simili”, è la laconica risposta.
Bettina non aveva nessuna malattia, come la maggior parte delle sfortunate protagoniste di questa storia a tinte fosche. Così scrive il quotidiano tedesco, come tradotto dall’Osservatore Romano: “Erano piuttosto classificate come asociali e perditempo, e sotto il paravento della medicina dovevano essere rieducate per diventare delle persone realmente socialiste. Abusi sessuali, violenze e umiliazioni erano all’ordine del giorno”.
La cavia
Finire in questi centri era spesso l’epilogo di un’esistenza segnata dalla malasorte fin da tenera età. Ne sa qualcosa Martina Blankenfeld. Occhi azzurri e capelli grigi, è oggi una signora dall’aspetto sereno e gentile. In pochi sospetterebbero che tra le pieghe delle rughe nasconda un passato atroce. Da adolescente aveva tentato il suicidio diverse volte, dopo esser stata violentata dal patrigno e aver visto la madre scivolare verso una sempre più debilitante malattia mentale. Nel 1978, quindicenne, viene rinchiusa nella clinica di Buch, quartiere orientale di Berlino.
Il copione è il medesimo: viene sottoposta alle violenze dei medici e agli abusi del personale. Anche su di lei ricercano malattie inesistenti. Martina però rifiuta di assumere medicine. Il suo spirito ribelle esaspera i medici, che per punizione la usano come cavia al fine di provare nuovi tipi di cosmetici.
Costrette al silenzio
Donne come Bettina e Martina hanno taciuto per anni. Alla dimissione da queste cliniche, sono state costrette a firmare un foglio che le obbligava al silenzio. La verità ha iniziato ad emergere anni dopo la caduta del muro di Berlino. Lo storico della medicina Florian Steger ha voluto indagare su questa pagina di storia della Germania dell’Est, mettendo insieme i tasselli di un mosaico che oggi sta prendendo forma.
Inchiesta
Il tema è finito sul tavolo di una speciale commissione di Stato che si occupa della riconciliazione a seguito della divisione del Paese. Qualche mese fa se n’è parlato anche al Bundestag (Parlamento tedesco) e le ricerche del dott. Steger stanno incoraggiando anche una battaglia per la riabilitazione sociale: l’anno scorso due donne hanno vinto una causa vedendosi riconosciute un indennizzo.
Ma né il riconoscimento delle istituzioni né i soldi potranno mai restituire a queste vittime del regime gli anni strappati come petali dal fiore della loro gioventù.