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SGOMBERI, L’ASSALTO DEI BULLDOZER

Arrivare con le ruspe ed abbattere la quotidianità di centinaia di persone – seppur abusive e senza permessi – deve necessariamente prevedere una sistemazione alternativa. Non è una questione di legalità, ma di rispetto della persona umana. E quand’anche non fosse questo sentimento a guidare un’azione del genere, basterebbe riflettere sul fatto che le persone disperate, senza dimora, senza lavoro e senza nulla da perdere possono diventare infinitamente più pericolose di quanto non sia una precaria situazione igienico-sanitaria. Alla quale va data soluzione, ma non abbattendo un’intera località “stile napalm”. Uno schiaffo al diritto inalienabile dell’uomo ad essere rispettato.

E invece a Ponte Mammolo è accaduto proprio questo: una “baraccopoli”, come si chiamano questi insediamenti non autorizzati, è stata eliminata dall’oggi al domani, con tanto di dichiarazioni pubbliche del Comune di Roma sulla riqualificazione del sito e sull’assistenza agli sfrattati. E invece, ai margini del piazzale invaso dalle macerie, ci vivono ancora – se così si può dire – una sessantina di sfollati. L’immagine è surreale: qualche gabbiano che atterra indolente sulle macerie, coperte ovunque, vestiti appesi sugli alberi, giocattoli schiacciati tra legno e lamiere. “Sono arrivati con le armi – racconta il giovane Arefaine a Interris.it – e ci hanno cacciato. Non abbiamo mangiato per 24 ore, donne e bambini si sono riparati all’interno della stazione”. E così, quel campo nomadi visitato da Papa Francesco appena poco tempo fa, è diventato improvvisamente una distesa di detriti. Un modo molto spicciolo di risolvere le situazioni.

Ma non è una novità. Lo scorso febbraio la stessa sorte era toccata agli abitanti del campo di Lungostura. Anche in quel caso le baracche furono distrutte dalle ruspe, circa 600 persone furono allontanate, almeno 150 restarono abbandonate a se stesse. Un’area non occupata recentemente, ma utilizzata da ben 15 anni. Risultato: gran parte di quegli occupanti si diressero verso il capo abusivo di via Germagnano, a qualche chilometro di distanza, rendendo in questo modo anche lì critiche le condizioni igienico sanitarie. In attesa di altre ruspe.

Un atteggiamento istituzionale già condannato anche a livello internazionale. Lo scorso luglio, dopo il blitz in via Salviati alla periferia est di Roma, Amnesty international tuonò: “Lo sgombero non rispetta standard e garanzie procedurali ponendosi in continuità con le ripetute violazioni dei diritti umani perpetrate già dalla passata amministrazione”. Come dire: non è questione di destra o sinistra, ma di approccio sbagliato verso l’emergenza umanitaria.

E non sempre parliamo di situazioni di degrado assoluto. A volte si tratta di immigrati che hanno trovato un piccolo lavoro ma non hanno abbastanza soldi per poter vivere in una casa “normale”, considerato anche il fatto che parte del guadagno viene in qualche modo fatto arrivare in Patria per sostentare la propria famiglia. Ma sono considerazioni troppo “alte”: le ruspe lavorano rasoterra.

E così, di sgombero in sgombero, i nomadi tornano tali, costretti a muoversi da una parte all’altra della città mentre qualcuno si compiace nel piantare la “bandiera del diritto” sulle macerie.

Ma legalità e solidarietà non vanno di pari passo. Un conto infatti sono gli sgombero come quelli fatti in via di Salone – sempre a Roma – nei confronti di famiglie rom che sui propri conti correnti avevano migliaia di euro. Altro è prendersela con gli ultimi, in particolare con chi, sbarcato per fuggire all’orrore della guerra, trova nell’approdo in un altro Paese una possibilità di continuare a vivere. Certo non sa la lingua, non ha soldi, né casa. Ma ha ancora la dignità. Quella che certi burocrati, con il loro ottuso interventismo, hanno perso.

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