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QUEI SOCIAL CHE ALLUNGANO LA VITA

“La famiglia e le amicizie sono una componente essenziale del benessere individuale. Le reti relazionali sono una risorsa importante che consente di perseguire i propri fini potendo contare su risorse aggiuntive rispetto al capitale economico e culturale di cui il soggetto dispone”. A dirlo non è un trattato di psicologia, ma l’Istituto di statistica nazionale (Istat), che prosegue: “Nel nostro Paese contribuiscono anche in misura significativa al benessere collettivo, perché le reti di solidarietà familiari, amicali e dell’associazionismo sono un tradizionale punto di forza che supplisce alle carenze delle strutture pubbliche. Le reti informali comprendono l’insieme delle relazioni interpersonali che gravitano e si intrecciano attorno alle persone. All’interno delle reti si mobilitano le risorse umane e materiali che assicurano sostegno e protezione sia nei momenti critici e di disagio, sia nello sviluppo della vita quotidiana”.

Le relazioni sociali dunque sono fondamentali sia per l’equilibrio del singolo, sia per la sostenibilità della collettività. Ma le percepiamo così quando sono reali, cioè tangibili; difficile pensare a una funzione del genere dietro la tastiera di un pc o lo schermo di uno smartphone. E invece oggi “sociale” è anche “social”. Lo chiarisce un gruppo di ricercatori della UC, l’Università della California, di San Diego che su questa tematica ha improntato una ricerca scientifica dai risvolti curiosi che è stata pubblicato tra gli atti della National academy of sciences statunitense.

I ricercatori si chiamano William Hobbs e James Fowler; essi sono partiti dal presupposto che molte relazioni sociali ormai passano attraverso l’uso dei social network. Si sono chiesti come questo nuovo modo di rapportarsi possa influire sulla salute e quindi sull’aspettativa di vita, e soprattutto se abbia lo stesso effetto benefico che, come è stato dimostrato, caratterizza le relazioni di persona.

Lo studio, coordinato da William Hobbs – postdoctoral fellow in Quantitative Social Science – ha preso in esame i dati di 12 milioni di utenti Facebook californiani e li ha incrociati con i dati delle rispettive cartelle cliniche. Il risultato è a senso unico: chi utilizza i social network ha una probabilità di morire inferiore del 12% rispetto a chi, invece, non ne fa uso.

William Hobbs dichiara non trattarsi di una vera e propria scoperta, quanto di una conferma di una teoria preesistente, definita dalla sociologa Lisa Bergman già 37 anni fa: chi beneficia di forte interazioni sociali ha una speranza di vita maggiore. Poco importa se queste relazioni si giocano nello spazio fisico di un bar, di un campo di calcetto o di un oratorio: vale anche lo spazio digitale dei social network, lo spazio fisico di uno schermo da 15 pollici.

Il campione scelto per lo studio, che si è svolto naturalmente in collaborazione con Facebook e con un’altro prestigioso ateneo americano, l’Università di Yale, ha riguardato dodici milioni di utenti del più famoso social network, nati tra il 1945 e il 1989.
I dati però rivelano anche altro. Facebook infatti può essere utilizzato in modi diversi e, a quanto pare, sembra godere di una migliore salute chi lo utilizza per interagire con gli altri, postando numerose foto o inviando e ricevendo un maggior numero di messaggi. Insomma chi integra la vita online con quella “offline” vive meglio e più a lungo.

“Interagire sui social network è salutare quando l’attività online risulta moderata e integrata con un’attività, per così dire, offline” spiega Hobbes. “All’estremo opposto invece, se si spende troppo tempo connessi e si interagisce poco con gli altri al di fuori dei social, l’associazione diventa di tipo negativo. Solo un uso equilibrato di Facebook, quindi, sembra essere correlato a una maggiore longevità”.

Dunque i social non sono un male “in sé”, e anzi possono essere utili anche nelle relazioni, ma lo diventano per come vengono usati. Insomma, mutano i tempi, evolve la tecnologia, ma l’essere umano è sempre uguale a se stesso: un animale sociale che, per stare bene, deve condurre una vita equilibirata. In media stat virtus, dicevano i latini. La ricerca Usa chiarisce bene: con Zuckerberg non è cambiato nulla…

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