Almeno 6.417 persone sono state uccise nel conflitto nell’est dell’Ucraina, dalla metà di aprile 2014 al 30 maggio scorso, mentre i feriti accertati sono quasi 16 mila. Tra le vittime, almeno 626 donne e ragazze. Lo rivela in un comunicato l’Onu riportando gli ultimi dati presentati lunedì a Ginevra. “Si tratta di una stima prudente, e le cifre reali potrebbero essere considerevolmente più elevate”, ha precisato l’agenzia, pur riconoscendo che i combattimenti e i bombardamenti sono relativamente diminuiti con i secondi accordi di pace di Minsk, risalenti al febbraio scorso.
E’ di cinque milioni la stima dei civili che soffrono le conseguenze delle ostilità: non solo il milione e 200mila sfollati, ma anche coloro che sono esposti ad abusi, violenze e in generale a “tremende privazioni”. Secondo lo stesso commissario Onu, il principe giordano Zeid bin Ra’ad al-Hussein, “Esistono allarmanti informazioni documentate sulle esecuzioni sommarie da parte dei gruppi armati”, perifrasi per alludere ai ribelli separatisti filo-russi. Verifiche sono inoltre in corso su “testimonianze analoghe” che chiamano invece in causa le forze regolari di Kiev.
Da entrambe le parti si ha notizie di “torture e maltrattamenti in detenzione”, con l’aggiunta di “omicidi, arresti arbitrari, lavori forzati, saccheggi, richieste di riscatto ed estorsioni” imputati in particolare agli insorti. Ancora: “Case e intere esistenze distrutte”, economia collassata con disoccupazione e prezzi in vertiginosa ascesa, “servizi vitali tagliati” e “molte fonti di reddito prosciugate”, per non parlare dell’inesistenza di “segnali di giustizia o della volontà di chiamare a rispondere i responsabili”, e neppure “risarcimenti ne’ indennizzi”.
Il principe Zeid ha quindi puntato il dito contro il sistema di permessi obbligatori istituito dalle autorità centrali ucraine per chi voglia abbandonare le regioni russofone orientali ed entrare in quelle tuttora sotto il loro controllo: per ottenerli si è esposti a “pratiche di corruzione e a ritardi anche di tre mesi”, tanto è vero che su 350.000 richiedenti, finora soltanto a 275.000 sono stati concessi.
Sul piano strettamente bellico, si sottolinea nella relazione, “se alcune aree come Lugansk sono rimaste abbastanza tranquille”, altrove la situazione resta di assoluta emergenza: è il caso di Donetsk, principale roccaforte separatista, e del circondario di Shyrokyne, villaggio conteso situato lungo lo strategico corridoio costiero che conduce al porto di Mariupol, ancora in mano ai governativi. Anche dove non si registrano scontri, molti civili sono vittime di mine o di ordigni inesplosi.
Infine, il punto maggiormente dolente: la presenza dei “combattenti stranieri” e il “flusso di armi dalla Federazione Russa” che, malgrado le incessanti smentite di Mosca, persistono e che se avessero invece fine “produrrebbero un impatto significativo sul rispetto della legge e dell’ordine, e sull’applicazione degli accordi di Minsk”.