La strage di Charlie Hebdo ha ferito al cuore l’Occidente. Lo ha fatto non tanto per il tragico bilancio di 12 morti, quanto per l’efferato attacco ai diritti che nei secoli questa vasta area geografica del pianeta ha saputo conquistarsi tra indicibili sofferenze: di pensare, esprimersi e poter prendere una posizione critica nei confronti delle ingiustizie. Eppure esistono regioni della Terra in cui le libertà più basilari (come quella di culto e di coscienza) non esistono o vengono tenute sotto un rigido controllo. Una condizione ben conosciuta da milioni di cristiani, soggiogati e colpiti a causa della propria fede e dei valori che da essa discendono. Un filo di morte, sangue e violenza che tocca i quattro capi del mondo, accomunando Paesi territorialmente e culturalmente lontani. Ne ha tracciato un quadro a tinte fosche l’ultimo rapporto di Porte Aperte (osservatorio sulle persecuzioni subite dalle diverse chiese) che ha pubblicato la World Watch List 2015, una classifica dei Paesi in cui la vita di chi crede in Gesù è trasformata in un dramma quotidiano.
Il primo dato che emerge dallo studio è una triste conferma dei fatti di cronaca che ogni giorno vengono diffusi dai mezzi d’informazione più sensibili al problema: 9 dei primi 10 posti del ranking sono occupati da Stati mediorientali, africani e asiatici in cui l’integralismo islamico ha assunto la forma di una metastasi mortale. I casi più seri sono quelli dell’Iraq (salita in terza posizione), della Siria (quarta) e della Nigeria (decima) nei quali l’affermazione dello Stato Islamico e di Boko Haram ha radicalizzato intere regioni, insegnando con la forza delle armi la dottrina dell’intolleranza. La Nigeria, ad esempio, detiene il record delle uccisioni di cristiani, che nell’anno di riferimento sono state almeno 2.484; la segue la Repubblica Centrafricana con 1.088.
In Siria l’escalation delle violenze contro i non musulmani è stata direttamente proporzionale all’estensione della guerra civile esplosa nel 2011. Il progressivo allentarsi della morsa del regime di Assad ha, ipso facto, spalancato le porte all’Isis, in particolare nelle più remote zone del sud. Così è caduta la protezione assicurata dal governo alle minoranze, rendendole quanto mai vulnerabili e ostaggio del fanatismo. “Già nel febbraio 2014 i cristiani della città di Raqqa – scrive il dossier – sono stati costretti a firmare un contratto di dhimmi (il quale fissa lo status giuridico dei non musulmani ndr) che viola la loro libertà”. La tragedia più grande è quella dei profughi: circa 800mila cristiani sono fuggiti dal Paese dall’inizio del conflitto, di cui 200mila solo lo scorso anno. Per non parlare poi dell’India dove, dopo la vittoria del partito filo induista guidato da Narendra Modi, la repressione nei confronti degli altri credo si è fatta più dura.
Accanto alle persecuzioni di origine religiosa (secondo la WWL 2015) si collocano quelle di matrice politica. Così la Nord Corea resta lo Stato del mondo in cui la pratica del cristianesimo è più difficile. Il folle dogma dell’ateismo di Stato, proprio di tutti i totalitarismi comunisti, esercitato da Pyongyang continua a mietere vittime in tutta la nazione asiatica (al primo posto dal 2002). Non cambiano le stime dei credenti imprigionati nei terribili campi di concentramento: tra i 50mila e i 70mila. La Cina passa dalla 37esima alla 29esima posizione; Pechino ha sensibilmente indebolito le sue misure antireligiose negli ultimi anni e tuttavia proseguono lo stringente monitoraggio e la restrizione dei diritti di quei cristiani provenienti dal Tibet. Non solo, ma il Paese della Seta detiene il primato di tentativi di chiusura o distruzione di chiese ed edifici sacri.
Siria, Iraq, Nigeria, Cina e Nord Corea sono casi limite che tuttavia non esauriscono il problema. Perché, osserva il rapporto, la persecuzione contro i cristiani non si attua
solo attraverso la violenza ma anche con la “costante paura e pressione sperimentate in ogni area della loro vita”. Un lento e costante logorio causato da discriminazione, minacce, comportamenti e principi che minano la stabilità personale, economica e sociale. Così non stupisce scoprire che all’interno della lista si trovano anche Stati a maggioranza cristiana o che si dicono laici, come la Turchia, dove nei confronti di chi abbandona l’Islam viene esercitato un pressing psicologico costante, in modo da farlo tornare sui propri passi. Due sono le denominazioni della Chiesa riconosciute: quella Greco Ortodossa e quella Apostolica Armena. Ciononostante la legislazione di Ankara vieta seminari di formazione del clero di queste due confessioni. A volte è, invece, il crimine a colpire chi crede in Gesù, come in Messico (salito al 38esimo posto) dove i narcotrafficanti usano le armi per estorcere denaro alle organizzazioni religiose e per scoraggiare la diffusione di quei principi che incitano alla pace sociale e al rispetto della legalità. Nel periodo di riferimento almeno 15 cristiani sono stati assassinati per questi motivi. In fondo è proprio la docilità e la mitezza, che affonda le sue radici del Vangelo, a fare più paura a chi predica il male.