Spavaldi in gruppo, fragili e titubanti quando sono soli. Negli occhi dei dipendenti dell’Indesit a Fabriano c’è soprattutto la paura. Quella di perdere il posto, ma anche quella di ritorsioni ad personam se qualcuno si azzarda a farsi vedere troppo battagliero. Il clima è questo, a torto o a ragione. Perché ciò che pesa è soprattutto l’incertezza sul futuro, la consapevolezza che un piano esuberi sia stato stilato ma senza che ci sia stata chiarezza su chi e quando colpirà. Per adesso solo voci, indiscrezioni, soffiate, numeri generici: quanto di più logorante ci possa essere per un essere umano, specie se impegnato in una lotta sindacale.
Ogni lavoratore vive immerso nella propria storia. Come Maria, 47 anni, da oltre 25 nell’azienda: “Non mi faccia parlare – racconta titubante a In Terris – non so cosa dire. E’ una vita che lavoro qui e so fare solo questo. Nessuno mi ha detto se sarò licenziata oppure no, e per questo preferirei non espormi”. Stessa preoccupazione da parte di Renato, 54 anni: “Una volta Fabriano era un paese ricco, prospero. Si lavorava tanto, e si guadagnava anche. Oggi non c’è rimasto quasi nulla, e se taglieranno ancora resterà davvero una città fantasma. Io poi, se contiamo che a 30 anni per questo tipo di lavoro ti considerano già vecchio, davvero non so che fine farò…”
La spada di Damocle che pende su tutti i lavoratori è la minaccia di licenziamenti unilaterali. In parole povere, basta una lettera e addio posto fisso. Whirlpool, cnella fusione con Indesit, ha spiegato di essere disposta ad onorare l’impegno di non procedere a licenziamenti unilaterali sino alla fine del 2018, nel rispetto del Piano Italia Indesit 2013. Ma poi? Il piano identifica circa 400 nuovi esuberi identificati: dei 1.350 inclusi nella bozza, infatti, 940 sono pre-esistenti all’acquisizione di Indesit da parte di Whirlpool. Inoltre una parte degli esuberi totali (circa 400) è ritenuta non strutturale, ciò significa – spiegano dall’azienda – che potranno essere gestibili con gli strumenti di flessibilità e potranno essere riassorbiti in un secondo momento.
Nel dettaglio poi si prevede la chiusura dello stabilimento di Carinaro (Caserta), con 815 dipendenti per la bassa capacità utilizzata dagli stabilimenti in Italia e la necessità di specializzare ogni impianto su specifiche piattaforme di prodotto. Nel piano si prevede poi l’accorpamento dell’impianto di Albacina (Ancona) con quello di Melano (Ancona) a 8 chilometri di distanza, con la produzione che crescerà da circa 800.000 pezzi all’anno a oltre 2 milioni. Prevista anche la chiusura del centro ricerche di None (Torino). Al contrario saranno rafforzati lo stabilimento di Siena dove saranno portate alcune produzioni estere e quello di Cassinetta di Biandronno (Varese) con 2 milioni di unità prodotte annualmente tra forni, microonde e frigoriferi da incasso e la possibilità di incremento dei livelli occupazionali nel tempo in futuro. Sarà spostata in Italia anche la produzione di lavasciuga che passerà al sito di Comunanza (Ascoli Piceno), insieme alla produzione delle lavatrici di alta gamma. Confermato anche lo stabilimento di Napoli che dà lavoro a 550 dipendenti. Queste operazioni dovrebbero portare ad un aumento complessivo sia dei volumi produttivi, sia dell’utilizzo della capacità utilizzata che passerà dal 55% a oltre il 70%.
Cifre che sembrerebbero evidenziare un trend positivo. Ma ai lavoratori è uno solo il numero che interessa: quello degli esuberi. E quando lo sguardo volge da quel lato, è notte fonda. Ecco perché il segretario generale della Fim-Cisl, Marco Bentivogli, durante l’incontro su Whirlpool al Mise, ha tuonato: “L’azienda deve essere chiara, bisogna dire che non ci sono pregiudiziali a cambiare il piano, la nostra disponibilità al dialogo dipende da questo: se pensano che la sostenibilità del piano si realizzi con gli ammortizzatori sociali e non con le attività produttive noi non ci staremo. Per noi se non si rivede subito il piano si alzerà la mobilitazione e lo scontro. Non ci possono essere scorciatoie – ha spiegato Bentivogli – in alcune aree di Italia come Caserta garantire l’occupazione significa garantire l’arrivo di attività e missioni industriali e non assistenzialismo”.