Ci vuole appena mezzo secondo per ottenere circa 98.100 risultati digitando su un motore di ricerca la stringa “condanne per consulenze esterne”. Un segnale di quanto il vizietto dell’affidamento di incarichi fuori dall’ambito istituzionale sia una pratica largamente utilizzata nel Belpaese. Tanto – è il pensiero di questi furbetti – sono soldi pubblici, dei quali se ne può fare un uso comodo a proprio piacimento. A volte sono regalie verso amici professionisti, altre volte sono diktat di partito per favorire chi è di area, altre volte sono vere e proprie associazioni a delinquere a fini di lucro. Troviamo di tutto nel calderone dei disonesti: sindaci, amministratori di enti pubblici, persino magistrati. E la Corte dei Conti ha il suo bel da fare per cercare di rimettere le cose a posto e recuperare il maltolto dopo che la magistratura ordinaria ha fatto il proprio corso.
L’ultimo caso in ordine di tempo è cristallizzato nella sentenza n.80/2015 con la quale la Prima sezione giurisdizionale di Appello conferma la responsabilità dell’ex Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pinerolo, il suo segretario impiegato presso il Ministero della Giustizia e 21 commercialisti incaricati di consulenze tecniche-fiscali rivelatesi inutili oltre che illecite. Un danno quantificato in oltre 15 milioni di euro per 9 anni di malaffare. Dalle carte dei giudici si evidenzia un sistema illegale di consulenze assolutamente strumentali, con l’apertura di molti procedimenti penali in totale assenza però di qualunque notizia di reato. In base agli accordi ogni consulente riceveva il pagamento mediante accredito dal Ministero e poi stornava il 30% alla cricca. I numeri sono impressionanti: 506 consulenze collegiali per un totale di 1548 incarichi assegnati a singoli professionisti.
Pensare che quelli siano soldi della collettività spesi senza badare alla loro utilità, e anzi usati per averne un ritorno personale, fa ancor più male in un periodo di crisi. Le famiglie soffrono sulla propria pelle la contrazione della capacità di spesa, spesso arrivando alla soglia di povertà; lo Stato deve combattere con la spending review. E proprio pezzi di esso invece di gestire al meglio la cosa pubblica la utilizzano per spremere le ultime gocce di un benessere ormai svanito. Non è un problema dei singoli, purtroppo: è un sistema che non funziona, quello dell’approssimazione, della mancanza di controlli, dell’assenza di rigore morale. Che si riverbera in tutto: semplici cittadini, magistrati e politici. Uno schiaffo alla fiducia verso le Istituzioni.
E tanto per dare il senso di un malcostume che non vede ancora la sua fine, citiamo ancora la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti – sentenza 23/2015 – che ha condannato un sindaco di Aci Castello e il suo predecessore a risarcire le somme pagate dal Comune per delle consulenze affidate ad esperti esterni: “La facoltà del sindaco – si legge nella sentenza – di nominare esperti non può considerarsi una prerogativa arbitraria del conferente”. C’è bisogno della magistratura per affermare un principio così ovvio?!