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FAMILY DAY UN ANNO DOPO: LA BATTAGLIA CONTINUA

Fu un’immagine desueta quella che offrì agli obiettivi delle telecamere il Circo Massimo esattamente un anno fa, il 30 gennaio 2016. La prospettiva che si aveva dal palco collocato in uno dei due poli dell’antica arena romana era impressionante: un immenso tappeto di persone che si riversava senza soluzione di continuità nella conca del Circo Massimo dalle strade laterali e dal lontano piazzale antistante la sede della Fao.

Bagno di folla

L’ultimo Family Day fu dunque un successo di partecipazione popolare. La presenza di centinaia di migliaia di persone (oltre 2 milioni secondo gli organizzatori) attestò un trionfo persino superiore a quello dell’evento del 20 giugno precedente, in piazza San Giovanni in Laterano.

Gioventù in crisi

In tempi in cui si avverte l’assenza di una vivacità sociale, mortificata dal consumismo individualista e da un diffuso sentimento d’antipolitica da salotto o da social network, il Family Day ha rappresentato dunque un unicum in Italia. Sempre di meno i giovani che frequentano le sezioni politiche e che riempiono le piazze. Sempre di meno i giovani italiani in assoluto. Iniziano, infatti, a manifestarsi gli effetti della crisi demografica in graduale inasprimento da decenni.

Attivismo

Dinanzi a questa desolante realtà, l’adesione entusiastica e numerosa al Family Day è un elemento che fa riflettere. Esso indica la presenza, nel Paese, di una larga fetta di cittadini (in gran parte giovani aperti alla prole) disposti ad intervenire sulla scena pubblica per difendere la famiglia, quel baluardo comunitario che ancora la società liquida non è riuscita ad inghiottire.

Atto di forza

Un anno è passato dalla contesa in Parlamento e presso l’opinione pubblica intorno al tema delle unioni civili. Uno scontro incandescente, che scandalizzò le anime belle del progressismo, sempre pronte ad indicare all’Italia la via maestra intrapresa da altri Paesi occidentali sui temi cosiddetti etici. Alla fine, per estinguere quella fiamma di dissenso considerato reazionario, il Governo fu costretto – vista l’inefficacia del “super-canguro” per eliminare la maggioranza degli emendamenti al testo – a presentare un maxiemendamento votato con la fiducia. Fu così che il ddl Cirinnà venne approvato in Senato. Tre mesi dopo, a maggio, il voto definitivo alla Camera. La minoranza centrista della coalizione di Governo – i cui maggiori rappresentanti avevano dato adesione al Family Day – riuscì ad ottenere lo stralcio dell’obbligo di fedeltà e della stepchild adoption.

No alle adozioni

Ciò che è uscito dalla porta, è però rientrato dalla finestra dei Tribunali. Già prima dell’approvazione della legge Cirinnà, e poi con periodica continuità dopo l’approvazione, si sono registrate sentenze che hanno di fatto legittimato l’adozione del figliastro da parte delle coppie omosessuali. Ed è di pochi giorni fa l’appello di Giovanni Canzio, presidente della Corte di Cassazione, affinché la politica intervenga per fornire un quadro legislativo riguardo alle adozioni gay. Pertanto la battaglia sul fronte della difesa della famiglia quale unione di un uomo e di una donna, non si è esaurita con l’exploit del Family Day. E lo dimostra l’attivismo mai sopito di quello stuolo di animatori dell’evento al Circo Massimo.

La battaglia per il No

Fuori Palazzo Madama, nel giorno dell’approvazione delle unioni civili, Massimo Gandolfini, portavoce del Comitato Difendiamo i Nostri Figli, annunciò sibillino: “Al referendum costituzionale ci ricorderemo di chi ci ha insultato”. Qualcuno interpretò quelle parole come una mera ritorsione. Ma attraverso un generoso lavoro comunicativo, il Comitato ha avuto modo di spiegare la ragione politica dietro a quella scelta. La “migliore governabilità” evocata dai sostenitori della riforma, d’altronde, faceva prefigurare un più agevole iter d’approvazione di leggi contrarie al diritto naturale. Eloquente Simone Pillon, cofondatore del Comitato, secondo cui la riforma costituzionale testimoniava “la volontà di spostare l’axis del potere dalle famiglie italiane alle lobby internazionali”.

Il gender

Famiglie italiane minate anche nel loro diritto alla priorità educativa dei figli. Il tema del gender nelle scuole ha continuato quest’anno a tener vivo il dibattito. Gli organizzatori del Family Day stanno guidando in questi giorni una “rivolta popolare” (per parafrasare Filippo Savarese, portavoce di “Generazione Famiglia”) contro “Fa’Afafine”, uno spettacolo all’insegna della sessualità liquida da propinare ai bambini delle elementari. Quasi raggiunte le 100mila firme necessarie per presentare una protesta scritta al ministro dell’Istruzione, la tanto contestata Valeria Fedeli.

L’impegno

Impegno per contrastare la diffusione di corsi ideologizzati nelle scuole che caratterizza anche Il Popolo della Famiglia, nato su iniziativa di Mario Adinolfi e dell’avv. Gianfranco Amato (due tra gli organizzatori dei Family Day) per rispondere con un soggetto unitario alla crisi di rappresentatività dei cattolici in politica. Il partito, che presenta nel proprio simbolo il significativo slogan “no al gender nelle scuole”, si è candidato alle elezioni comunali nella scorsa primavera e prosegue oggi il suo percorso unendo l’impegno politico a quello culturale e civile.

Fiaccola accesa

Diverse anime ma una sola battaglia. La fiaccola del Family Day è stato raccolta e continua ad infiammare gli animi di milioni di italiani, per nulla disposti a cedere a quella che Papa Francesco ha più volte denunciato come “una colonizzazione ideologica” che vuole distruggere le famiglie. Almeno in Italia, questi novelli colonizzatori non hanno vita facile.

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