Da Pietro Maso a Riccardo Vincelli, da Erica e Omar alla 17enne calabrese che lo scorso maggio ha trucidato la madre, “colpevole” di averla punita per il suo cattivo rendimento scolastico con il sequestro di pc e cellulare. Silenzi, rancori, frustrazioni accumulate nel tempo si associano sino a diventare insostenibili. La rabbia monta e si trasforma in raptus, arma la mano dei figli e la rivolge verso i genitori.
Aggressività, problemi scolastici, ansia, rifiuto di alcuni adulti, depressione, senso di colpa, timori, panico e paura, conflitti familiari. Sono alcuni dei comportamenti degli adolescenti che non devono essere in alcun modo sottovalutati. Ne parliamo con la Dott.sa Elena Sorrento psicologa e psicoterapeuta specialista in terapia familiare.
Quali errori vengono più spesso commessi?
“È errato pensare che solo i bambini e i ragazzi costituiscono la parte fragile e si fatica a vedere che possano esercitare violenza sui genitori. Il modus vivendi viene ereditato e trasmesso tra le generazioni: ognuno insegna ciò che ha vissuto. Si pensa comunemente che una relazione violenta esprima assenza di legame, è esattamente il contrario, là dove il bisogno di relazione è forte, questa necessità può esprimersi in modo distruttivo. Compiacere, blandire, nascondere per non urtare la suscettibilità del figlio è la via più facile per renderlo più prepotente. Più una famiglia è ripiegata su se stessa e nasconde un problema, maggiori sono le probabilità che sfoci in violenza. Senza negare che anche un adolescente può essere affetto da patologie psichiatriche, sarebbe bene in questo caso riconoscerle al più presto qualora la situazione non degeneri”.
Ci sono famiglie in cui si può prevedere il rischio di violenza?
“Quando si parla di violenza si fa riferimento a due tipologie: verbale e fisica. Quando un genitore subisce aggressioni da parte un figlio è spesso afflitto da sensi di colpa, vergogna e ricerca esterna di un presunto colpevole. Il tratto caratteristico dei nuclei familiari in cui avvengono queste efferatezze è l’apparente normalità, spesso i vicini di casa non sanno nulla e considerano gli assassini ‘bravi ragazzi’; nessuno vuole parlare per il timore di invadere una sfera troppo privata. Per cui il nucleo si ripiega inesorabilmente su se stesso e l’aiuto esterno difficilmente viene preso in considerazione”.
Quanto pesa il silenzio?
“I genitori che soffrono a causa di questo problema avvertono un disagio che li mantiene nel silenzio e fanno tantissima fatica a rivolgersi ad un professionista per non ‘bollare’ il figlio e non passare loro in giudizio. L’immagine di una famiglia perfetta è fuorviante. Le problematiche, se affrontate in modo corretto possono essere costruttive, condividere e correggersi fa della famiglia una squadra, ognuno con il proprio talento messo al servizio della comunità può dare la forza per comprendere e risolvere”.
La cattiva educazione crea figli tiranni?
“L’educazione è ogni giorno più difficile, la ribellione ai genitori è sempre più precoce. Per cui quando il figlio prende il sopravvento, il genitore, come guida, è già battuto. Oggi si assiste a scene in cui i bambini in tenera età tiranneggiano i genitori, e quando diventano adolescenti la sfida diventa il ‘pane quotidiano'”.
Ciò significa che i ruoli genitoriali sono in crisi?
Assolutamente sì. Assistiamo ad un ribaltamento che in tempi passati era impensabile. I figli diventano i padroni della casa, sono autoreferenziali, il diniego è a quel punto impossibile. Il ‘figlio tiranno’ non cresce da solo, sono i genitori che consentono di diventarlo. Un adolescente che insulta, squalifica, offende, ricatta, manipola, picchia i genitori, -sovente la madre è il bersaglio- è un individuo che sulla sua strada non ha trovato un referente vero. Questo accade in particolare nei nuclei mono genitoriali, in cui le madri si sentono profondamente sole. A latere padri lucidi rispetto al problema, ma avvertiti distanti, spesso spettatori passivi della scena familiare. Il ‘figlio tiranno’ a quel punto rimane in balia di se stesso, senza nessuno che lo protegga e lo freni dalla propria aggressività”.
Spesso si da la “colpa” alla società, piuttosto che alla famiglia, significa deresponsabilizzarsi?
Ci sono varie angolazioni dalle quali si osserva il fenomeno. Purtroppo la nostra società, per tante ragioni, soprattutto a causa della crisi economica e la conseguente perdita di lavoro ha scardinato l’autorità degli adulti nei confronti dei minori. La decadenza dei valori coinvolge prima di tutto la macro area degli adulti, una famiglia che deve fronteggiare una difficoltà può innescare nel figlio una percezione distorta e, a causa dei messaggi esterni che l’adolescente riceve può ‘vedere’ il genitore soprattutto il padre come un ‘fallito’. Oggi tutto è gara e va avanti solo chi vince, quindi un parente che non è vincente non può insegnare nulla”.
È difficile che una famiglia faccia un’analisi su se stessa.
“Una famiglia disfunzionale è all’origine di comportamenti delittuosi. La casistica rivela che una dinamica familiare ricorrente in situazioni di violenza è la triangolazione, ovvero il figlio assume un ruolo più o meno definito all’interno della dinamica di coppia ad esempio: mediatore, collante, peggio ancora come giudice tra le parti o complice di uno dei due. L’adolescente può comprendere di essere stato “invisibile” nelle sue necessità di figlio e questo potrebbe generare una risposta aggressiva nei confronti del mondo adulto e anche un rimprovero come il non produrre risultati scolastici può rappresentare il tracollo, fino all’annientamento del genitore”.