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21 AGOSTO 1991, FALLISCE IL TENTATO GOLPE IN URSS

Finì oggi, nel 1991, il tentato colpo di Stato in Unione Sovietica, organizzato da alcuni membri del governo per deporre l’allora presidente Michail Gorbačëv e prendere il controllo della nazione. Il suo fallimento, e i risvolti politici che ne seguirono segnarono la dissoluzione dell’Urss. Nell’agosto di quell’anno, dopo una trattativa molto complessa, il presidente sovietico Mikhail Sergeevič Gorbačëv si apprestava a siglare il nuovo patto federativo dell’Urss che, di lì a poco avrebbe mutato la propria denominazione ufficiale da Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche in quella, presumibilmente di Unione delle Repubbliche Sovietiche Sovrane: dopo cinquant’anni quste nazioni ebbero l’attesa possibilità di liberarsi dall’occupazione sovietica e riconquistare l’indipendenza.

Il presidente aveva però deciso di prepararsi al gravoso impegno riposandosi nella dacia presidenziale in Crimea. Ma proprio lì venne trattenuto contro la sua volontà, su ordine di alti gradi del Partito, che temevano le incombenti novità: iniziò così il 19 agosto il colpo di stato, che avrebbe condotto a un risultato impensabile, ovvero la dissoluzione dell’Urss.

I golpisti erano personaggi di spicco della politica sovietica: il capo del KGB Vladimir Krjučkov, il ministro degli Interni Boris Pugo, il ministro della Difesa Dmitrij Jazov, il vicepresidente dell’URSS Gennadij Janaev, il primo ministro Valentin Pavlov, il capo della segreteria di Gorbačëv, Valerij Boldin. Il loro intento era chiaro: preservare l’Unione dall’insorgere delle nazionalità, impedire un alleggerimento del potere centrale, preservare il primato del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica). Il presidente della Rssf (Repubblica Socialista Federativa Sovietica Transcaucasica) Russa, Boris El’cin, guidò la resistenza dalla Casa Bianca, l’edificio del parlamento russo. Dopo l’annuncio del colpo di stato ci furono dei confronti armati, ma la violenza fu sorprendentemente limitata. Il 21 agosto, però, la grande maggioranza delle truppe spedite a Mosca si schierò apertamente con la resistenza e tolse l’assedio. Il golpe rovinò su se stesso e Gorbačëv ritornò a Mosca sotto la protezione delle forze di El’cin.

I golpisti vennero espulsi dal Partito comunista dell’Unione Sovietica, e Michail Gorbačëv si dimise. Il presidente divenne Boris El’cin, che il 6 novembre metteva fine e proibiva l’attività del Pcus in Russia.

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