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RIPARTIRE DALLA DOMENICA DELLE PALME

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De Passione Domini (della Passione del Signore) è il nome con cui è anche conosciuta nel Rito Romano la Domenica delle Palme. Qualunque credente conosce la storia di questa ricorrenza; a una settimana dalla Pasqua si ricorda l’ingresso messianico di Gesù di Nazareth a Gerusalemme come figura futurorum della sua gloria immortale. In quella scena – riproposta da decine di trasposizioni cinematografiche – c’è un simbolismo nascosto. L’accoglienza degli abitanti della città è simile a quella riservata normalmente a un re o a un liberatore. E infatti gran parte degli storici concorda nel ritenere che il popolo vedesse nel Figlio di Dio un rivoluzionario, pronto ad affrancare la Giudea dal dominio romano.

Così si spiega il fatto che, secondo il Vangelo, solo pochi giorni dopo Gesù sia stato abbandonato da chi in un primo momento lo aveva acclamato sovrano. Sarà la stessa gente di Gerusalemme, giusto per capirsi, a preferirgli nelle ore successive Barabba, nemico giurato degli occupanti. Non è una caso, allora, che oggi si ricordi anche la Crocifissione e infatti il Vangelo letto, anzi quasi recitato con assegnazione di parti specifiche, racconta proprio gli ultimi drammatici momenti della vicenda terrena del Nazareno, sino al Calvario.

Storici emblemi di questa domenica sono la palma e l’ulivo. E’ l’evangelista Giovanni a raccontarci che Cristo fu salutato dai giudei proprio con i rami delle due specie arboree, che hanno un significato molto particolare. Anticamente si pensava che la prima morisse nel generare fiori e frutti; questa leggenda rese la palma simbolo del martirio, del sacrificio estremo da cui scaturisce la vita. Il suo significato è dunque quello della vittoria, dell’ascesa, della rinascita e dell’immortalità. Le stesse che spettano a Gesù (primogenito della Risurrezione), ai santi e ai fedeli meritevoli. Nell’arte paleocristiana essa è raffigurata insieme all’ancora e alla colomba e compare su epigrafi sepolcrali, sarcofagi, lastre e stemmi, spesso insieme al monogramma di Cristo (IHS). I mosaici talvolta raffigurano persone che portano in mano rami: si tratta dei cristiani vittoriosi, morti per la loro fede. Si riferiscono al salmo “il giusto fiorirà come palma” e al tempio di Salomone, ornato di ricchi motivi palmizi.

Altro passo della Scrittura in cui si fa riferimento a questo albero è il Cantico dei Cantici, un brano recita: “La tua statura somiglia a una palma e i tuoi seni a grappoli” e sarebbe un richiamo ante litteram alla Vergine Maria. La Legenda Aurea scritta da Jacopo da Varagine prese dal vangelo apocrifo di Matteo l’episodio, caro all’arte cristiana, della specie desertica che, durante la fuga in Egitto, si inchinò perché la Madonna e Giuseppe cogliessero i suoi datteri e fece sgorgare tra le radici una sorgente di acqua fresca. La scena è un modello del paradiso ritrovato e lo zampillo simboleggia la fonte della vita.

Più conosciuto è, invece, il significato dell’ulivo: la pace portata da Gesù sulla terra. Ma in un senso più profondo rappresenta la riconciliazione tra Dio e l’uomo. Compare sin dalla Genesi: la colomba porta un ramoscello a Noè per comunicargli la fine dell’ira dell’Onnipotente da cui era scaturito il diluvio. E il Signore, infatti, promette di non colpire più la sua creatura prediletta con una piaga così terribile. Questo vegetale è richiamato più volte nell’Antico Testamento come metafora di salvezza e prosperità. Il salmo 128, nell’esaltare “l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie”, dice: “la tua sposa è come vite feconda nell’intimità della tua casa, i tuoi figli come virgulti d’olivo intorno alla tua mensa”. Il profeta Osea canta la forza e la bellezza dell’ulivo così: “sarà come rugiada per Israele, esso fiorirà come un giglio e metterà radici come il cedro del Libano, si espanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell’ulivo e la fragranza del Libano”.

La funzione pacificatrice dell’albero delle olive è però presente anche nel paganesimo. Secondo il mito greco la dea Atena lo donò agli Ateniesi e lo pose nel Partenone per celebrare la sua vittoria sul distruttivo Poseidone. Era anche fatto di olivo il talamo costruito da Ulisse nella sua casa di Itaca, simbolo della serenità domestica. Infine i campioni olimpici, contrariamente a quanto si possa pensare, nell’antica Grecia ricevevano una corona fatta di foglie d’ulivo e non d’alloro, che fu introdotta in epoca romana. Tradizione, quest’ultima, che è stata ripresa nei giochi di Atene del 2004. Non va poi dimenticato che l’olio era un materiale talmente prezioso da essere usato per incoronare i re. Cristo, in greco, significa appunto “colui che è stato unto”. E’ quindi, come la palma, anche emblema della gloria regale del Signore. E anche per questo in alcune regioni italiane in questo giorno i padri di famiglia usano il virgulto per aspergere la tavola delle feste. Pace e martirio sono dunque il messaggio racchiuso nella ricorrenza che i cristiani celebrano oggi. La serenità che il mondo anela mentre in tanti perdono ancora la vita per il proprio credo. Uno schiaffo a chi porterà a casa il ramoscello “perché è tradizione” perdendo il senso della sua vera forza redentrice.

Francesco Volpi: