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PRIGIONIERI DEL SISTEMA

Cos'hanno in comune la vicenda di Joseph Blatter e quella degli impresentabili? Quale tratto “politico” mette in parallelo le elezioni regionali di oggi e le scelte del governo mondiale del calcio? Il caos Italia e paragonabile a quello che ha investito il mondo del pallone? E poi, last but not least, è ancora possibile parlare di sommersi e salvati, buoni e cattivi, innocenti e colpevoli come non facevamo più dai tempi di Tangentopoli? Se dovessimo fermarci all’apparenza delle cose, restando in superficie, scegliendo volutamente di non andare a fondo dei temi che la cronaca ci mette davanti tutti i giorni, commetteremmo un grave errore, non vedendo la connessione fra i due eventi, apparentemente scollegati fra loro. In realtà sono le facce di una stessa medaglia. Perché tanto in Italia quanto a Zurigo, dove si sono svolte le votazioni della Fifa, l’orologio della storia segna un punto di non ritorno. E i tornati delle stagioni della vita, a volte, vengono affrontati dai protagonisti come se fossero curve paraboliche quando, in realtà, sono strade in salita. Fatte le dovute proporzioni il padrone del calcio, investito dallo scandalo sulla gestione dei mondiali, e i  candidati finiti nella lista degli impresentabili stilata da Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia, sembrano dare l’impressione di essere affetti dallo stesso morbo: febbre da potere. Senza un ruolo, senza un trono, non si è niente. Ed essere considerato “niente” nella società del “tutto a tutti costi” è quanto di peggio può capitare. Ma non è solo una pulsione personale: è lo scotto da pagare per far parte di un “sistema”, quello stesso che vedeva normale portare valigette di soldi per finanziare i partiti, lo stesso che dà per scontato stornare un 10% sugli appalti. Non è questione di chi va a sedersi su quelle poltrone: le regole sono preordinate. Tornando agli impresentabili: sarebbe bastato un loro passo indietro e non sarebbe successo nulla. Ma il sistema non lo prevede. La storia, quella con la S maiuscola, dirà che ha torto e chi ha ragione. Il vero punto, però, è l’evidente parallelismo fra queste elezioni regionali e le scelte della Fifa. Nessuno, né la politica italiana né il governo mondiale del calcio, hanno voluto, o saputo, fare pulizia al proprio interno. Eppure entrambi i “mondi” avevano l’occasione. La politica di casa nostra, ben prima di Tangentopoli, non ha mai saputo affrontare con intelligenza il problema della rappresentanza pulita, della candidabilità dettata – si passo il gioco di parole – da una candida carriera politica. E il mondo del calcio ha scelto di stare dalla parte degli affari scordandosi dello sport, di De Coubertin e di Nino, il ragazzo della leva calcistica del ’68 cantato da Francesco De Gregori. Il potere al posto del sudore. E lo stesso ha fatto la politica. Non bastano camice bianche e lindi spot elettorali a risolvere tutto. Serve coerenza con le cose dette. Sin dagli anni ’70, volendo collocare una pietra miliare di riferimento a beneficio del lettore, la politica italiana non ha mai saputo sciogliere quel nodo gordiano fra Giustizia e Parlamento, fra magistrati e politici, fra potere economico e potere politico. Le toghe che si sono sostituite ai ministri, governanti che emettevano verdetti e sentenze, poteri forti che spostavano, e spostano ancora oggi, il baricentro delle scelte economiche di Palazzo Chigi, hanno determinato un corto circuito democratico che nessuno ha riparato. Nessuno faceva, e fa, ciò che dovrebbe fare. Uno schiaffo – in un certo senso – al concetto stesso di separazione di poteri. C’è sempre una travalicazione dei ruoli a rendere indispensabile una risagomatura del puzzle Italia, inteso non come Paese, ma come sistema Paese. A voler sintetizzare lo schema è sufficiente sostenere che da Tangentopoli ad oggi non è cambiato nulla. Si è solo modificato il sistema, si è affinato lo schema di gioco, rendendolo plasticamente adatto al nuovo millennio. Parlare di impresentabili, faide, rappresaglie, rese dei conti, lotte all’ultimo coltello, alla vigilia di un voto amministrativo che in realtà è solo un referendum pro o contro Renzi è quanto di più drammatico possa offrire la rappresentazione della democrazia rappresentativa.  Oggi c’è solo la rappresentazione del potere, tanto a Roma quanto a Zurigo. Infine il tema da libro Cuore: sommersi e salvati, buoni e cattivi ci sono ancora? Nel mondo dei due mondi messi in parallelo no. Sino a quando saremo dentro a questo quadro, sino a quando non cambieranno i colori (il Sistema), la storia da raccontare sarà sempre la stessa. I giusti che giudicano coloro che sbagliano per poi invertire i ruoli al giro successivo. Sommersi e salvati continuano a vivere nella cosiddetta società civile che non entra nel cerchio della politica ma la osserva da fuori. Tangentopoli, ma anche la recente inchiesta su Mafia Capitale, i vari scandali legati alle cosiddette grandi opere, hanno insegnato a chi racconta la cronaca che trovare il male è facile. Difficile individuare la cura giusta. Soprattutto quando al capezzale del malato viene chiamato un medico indicato dalla politica. Cosa ci vorrebbe per cambiare? Regole certe e ognuno che faccia ciò che deve fare. Smettendola con le invasioni di campo e i vasi comunicanti. E così difficile? A voler restare nella metafora calcistica basterebbe mandare la palla in rete e non buttarla in tribuna ogni qualvolta il gioco non piace più. Ma sì, ridateci il libro Cuore e I ragazzi della via Pal. Almeno sapremmo da che parte stare.  

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