Se cade l’Italicum si va a votare? “No, è molto più probabile lo scenario opposto. Se passa l’Italicum si va a votare”. L’esponente della minoranza dem Stefano Fassina è fulminante nel descrivere ciò che sta accadendo e perché. Le minacce di Renzi, che sta “asfaltando” tutto ciò che ostacola il cammino delle “sue” riforme – che siano contestatori interni alla maggioranza od opposizione, sindacati o giornalisti – in realtà non spiegano il suo vero obiettivo, che è quello di andare al voto con una legge che gli permetta di tenere in pugno l’unica Camera che rimarrà in vita (dopo l’abolizione del Senato, che ridurrà il potere di confronto ma non le spese generali).
Per questo i toni si stanno alzando. “La fiducia sulla riforma della legge elettorale rappresenterebbe uno stupro nei confronti della democrazia nel nostro Paese. – ha detto Simone Furlan (membro dell’ufficio di presidenza di Forza Italia e leader dell’Esercito di Silvio). Ma se è normale che l’opposizione alzi la voce, fa pensare che lo stesso registro venga usato anche da chi sta nel Pd: “La scelta della fiducia è irricevibile – ha detto il capogruppo dimissionario del Pd Roberto Speranza, sarebbe errore politico madornale, una violenza vera e propria al Parlamento italiano”. Insomma, da qualunque parte la si guardi la minaccia di ricorrere alla fiducia per portare a casa una riforma così importante sembra essere uno schiaffo alle prerogative democratiche della discussione parlamentare.
Veleni e sotterfugi; c’è dunque di tutto in queste ultime ore prima del voto in aula. “Da ambienti governativi e da cortili limitrofi popolati da renziani e neo renziani arrivano telefonate di pressione indebita – ha detto il capogruppo dei deputati di Sinistra Ecologia Libertà, Arturo Scotto – su singoli esponenti dei gruppi parlamentari sul voto di martedi”.
Sulla carta Renzi può contare su una maggioranza di circa 410 deputati: i 310 del Pd oltre ai 33 di Ap, ai 13 di Pi, ai 25 di Sc e a una trentina del Misto (tra cui gli ex M5S). Numeri ben superiori al quorum di 316 voti, ma che potrebbero scendere: la minoranza interna del Pd dispone infatti sulla carta di 90 voti anche se è prevedibile che almeno la metà voterà il testo.
La principale critica della minoranza dem è quella di non sanare il vulnus numero uno del Porcellum, ovvero i parlamentari scelti direttamente dai leader dei partiti. Con i capilista bloccati (ovvero comunque eletti automaticamente se scatta il seggio) e i collegi piccoli che eleggono al massimo 6 o 7 deputati, buona parte del Parlamento dovrebbe risultare ancora una volta ‘nominata’.
La riforma prevede l’elezione dei deputati in 100 collegi che eleggono in media 6 o 7 parlamentari. C’è un premio di maggioranza alla lista che supera il 40% dei voti, o il ballottaggio tra i due partiti più votati se nessuno supera quella soglia. Lo sbarramento è al 3% e i capilista sono bloccati. L’entrata in vigore della riforma è postdatata al luglio 2016 in attesa della riforma del Senato che dovrebbe prevederlo non più elettivo.
A tale proposito vale la pena fare qualche chiarimento: il testo di partenza prevede che nel nuovo Senato seggano 150 senatori (108 sindaci dei comuni capoluogo, 21 presidenti di regione e 21 esponenti della società civile che vengono temporaneamente cooptati dal Presidente della Repubblica per un mandato), tutti senza stipendio, senza retribuzioni e non eletti. E senza neanche la possibilità di dare la fiducia al governo. Insomma, la seconda camera perderebbe buona parte dei suoi poteri e delle sue funzioni. Sul reale risparmio per lo Stato però c’è polemica: anche senza stipendio, restano però i rimborsi, le spese per gli uffici, i dipendenti, i viaggi, le indennità parlamentari. Una riforma della Camera Alta che fa risparmiare dunque meno di quanto promette.
Tornando all’Italicum, c’è la soglia di sbarramento: Ncd la vuole al 3%, che gli consentirebbe di sopravvivere. Rimane invece altissima la soglia da superare per chi vuole andare da solo: 8%. Niente coalizioni finte, inoltre, dal momento che lo sbarramento che una coalizione deve superare è del 12%. Un modo per scongiurare coalizioni di partiti create in ottica solo elettorale e che si sciolgono non appena entrati in Parlamento.
A differenza della prima bozza, è adesso consentito candidarsi in più collegi. Una norma che mette al riparo i leader dei partiti minori, che se avessero sbagliato collegio su cui puntare avrebbero rischiato di restare fuori dal Parlamento. Adesso è consentito presentarsi fino a tre collegi nella stessa regione.
Infine sul piatto c’è una norma studiata per salvaguardare i partiti con una forte connotazione territoriale e quindi, in Italia, principalmente la Lega Nord. I partiti che in tre regioni riusciranno a superare l’8% accederanno al Parlamento anche se non hanno raggiunto la soglia di sbarramento. Una norma che, con qualche difficoltà in più, potrebbe agevolare anche Sel puntando sulle regioni rosse. Oggi inizia il confronto, anche se forse sarebbe più corretto chiamarlo scontro.
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