La profonda ipocrisia dell’Europa politica consiste nel criticare ogni forma di fondamentalismo e nel contempo rifiutare lo sue radici storiche, che affondano nel cristianesimo. Una fede mai difesa e troppo spesso declassata, emarginata. Col risultato di agevolare quello stesso proselitismo estremo che diciamo di voler combattere. Come aprire le porte del fortino e poi lagnarsi dell’invasione dall’esterno. Attoniti assistiamo alle prevaricazioni subite dai cristiani in tante parti del mondo. Pensiamo alle case segnate con la “N” di “Nazara”, ossia discepoli del Nazareno, alle croci divelte nelle chiese, all’arcivescovado siro-cattolico di Mosul assaltato e alla biblioteca con preziosi manoscritti bruciata, ai fedeli costretti a lasciare le loro case e le loro terre natie per sfuggire alla conversione forzata. La cronaca parla ogni giorno di queste persecuzioni. Ma questo non deve nascondere quanto avviene anche in Occidente dove la dittatura del relativismo ha portato in dote una visione distorta della religione, non più percorso di perfezionamento interiore, intimo rapporto con la spiritualità, ma credenza popolare da marginalizzare nella sfera strettamente privata e da osteggiare in quella pubblica. Osserviamo allora di intolleranza anche da noi, in omaggio a un laicismo ideologizzato e lontano anni luce dal suo vero significato.
È solo di pochi giorni fa la notizia della polemica scoppiata a Bologna nell’Istituto Comprensivo 20. Il Consiglio della scuola, con una delibera del 9 febbraio scorso, ha autorizzato le benedizioni pasquali del personale, dei genitori e degli alunni. Immediate sono arrivate le proteste: in sostanza questo rito viene “abuso” nei confronti di chi professa un altro credo religioso. Per calmare gli animi e non scontentare nessuno la direzione scolastica ha deciso di limitare le benedizioni all’orario extrascolastico. Mossa che alcuni genitori e insegnanti hanno ritenuto “offensiva” tanto da agire per vie legali, presentando un ricorso al Tar di Bologna per chiedere la sospensione della delibera. Insomma il rito viene considerato un insulto verso i componenti della comunità scolastica, indipendentemente dal fatto che la partecipazione sia obbligatoria o meno.
In una scuola di Leini (Torino) per “rispettare le culture di tutti e per motivi di sicurezza” durante il periodo natalizio, il preside aveva deciso di vietare il presepe. Situazione analoga all’istituto “De Amicis” di Bergamo, dove il direttore aveva dichiarato che “la scuola pubblica è di tutti e non va creata alcuna occasione di discriminazione”. Ma la polemica non riguarda solo le benedizioni pasquali o i presepi. La diatriba sull’esposizione dei crocefissi nelle aule scolastiche ha origini ancora più antiche. Il simbolo dell’identità cristiana ha suscitato le lamentele delle associazioni laiche, di diverse confessioni religiose, degli atei e degli agnostici, spesso supportate da sentenze dei tribunali di vario grado. Nonostante ciò la Croce nelle scuole è sostanzialmente rimasta, con la sola eccezione della Francia, dove è espressamente proibito dalla legge dagli inizi del ‘900. In Austria è consentito solo se la maggioranza degli alunni appartiene a una delle confessioni cattoliche, in Belgio è vietato in tutte le statali, provinciali e comunali, mentre è permesso in quelle cattoliche.
Nel 1995 in Germania, una sentenza della Corte Costituzionale ha sancito l’incostituzionalità della presenza di simboli religiosi all’interno delle aule. In Spagna nel 2009, il governo Zapatero ha messo a punto un disegno di legge per togliere ogni simbolo religioso dalla scuola pubblica, mentre in Romania, con la decisione 323/2006 del Consiglio Nazionale per la lotta alla Discriminazione ha stabilito che il Ministero dell’Educazione deve rispettare il carattere secolare dello Stato e l’autonomia della religione e i simboli sacri devono essere mostrati solo durante le ore didattiche dedicate allo studio dei culti o in aree ad essi esclusivamente dedicati. In Svizzera il comune ticinese di Cadro decise di esporre il crocefisso in tutte le aule scolastiche, ma nel 1990 il Tribunale Federale decretò la sua rimozione con la motivazione che “lo Stato ha il dovere di assicurare la neutralità in ambito filosofico-religioso della sua scuola e non può identificarsi con una confessione o religione. Si deve evitare che gli studenti siano offesi nelle loro convinzioni religiose dalla continua presenza di un simbolo di una religione a cui non appartengono”.
Casi ai quali si aggiungono le politiche di un’Europa che ha rifiutato le sue radici per motivi soprattutto di opportunità e di quieto vivere (dall’ingresso della Turchia nell’Ue alla convivenza con le altre confessioni, in particolare l’Islam). A novembre la Corte di Giustizia del Lussemburgo ha dichiarato ammissibile nel merito un ricorso contro la Commissione europea, la quale aveva rinunciato a chiedere all’Italia di recuperare dalla Chiesa l’importo delle esenzioni Ici e Imu di cui ha beneficiato dal 2006 al 2011, oltre a deduzioni dalle tasse sul reddito. Se l’istanza dovesse trovare accoglimento il conto per i Sacri Palazzi sarebbe salatissimo: 4 miliardi di euro. Tanto da spingere molte associazioni e blog cattolici a sospettare dell’esistenza di un disegno comunitario per mandare in default finanziario la Santa Sede. Fantasie? Forse; di sicuro c’è che la diffusione dei valori cattolici è stata troppo spesso osteggiata da Bruxelles, in altri casi addirittura impedita. Una schiaffo alla vera libertà e non solo a quella di coscienza.