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Dieci vergini presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo

«Dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo» «Decem virginĭbus, quae accipientes lampădes suas exiērunt obvĭam sponso»

Domenica 8 novembre – XXXII settimana del tempo ordinario – Mt 25, 1-13

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Il commento di Massimiliano Zupi

La parabola presenta l’aspetto bello della vita e poi quello doloroso. Prima il bello: siamo come vergini. In quanto vergini, come Maria, siamo totae pulchrae: tutte belle. Secondo il significato etimologico del greco parthénos, vergine, siamo nel pieno del vigore, della freschezza e della vitalità proprie della giovinezza: siamo un fiore che sboccia, nel rigoglio dell’età. E ad attenderci c’è lo Sposo: che è «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 45/ 44,3).

Ma ecco il versante negativo, la penombra: tutti ci addormentiamo. Certo, anche nel senso che la morte è il destino di ognuno. Ma c’è un sonno peggiore, che ci prende già in questo tempo in cui siamo in vita: è la tiepidezza (Ap 3,16), la brachicardia (Lc 24,25), propri di un’esistenza spenta, senza amore. L’amara conseguenza è che non siamo pronti allora ad andare incontro allo Sposo che viene. Quando? Dopo la morte? Sì; ma, ancora una volta, c’è anche un senso più tragico: non ci accorgiamo delle visite del Signore durante questo pellegrinaggio terreno. Ci perdiamo il bello della vita! Tutti necessariamente si addormentano: la carne è debole (Mt 26,41). Sarà perché le energie presto si esauriscono e diventiamo stanchi; sarà perché copriamo la paura con l’orgoglio: di fatto, tutti pecchiamo (Sal 51/50,7).

Ma poi alcuni hanno comunque con sé l’olio per accendere le lampade, per accendere sé stessi, altri no. Perché? Cos’è quest’olio? È ogni combustibile che faccia ardere la presenza di Dio dentro di noi, il suo Spirito: è il tempo dedicato alla preghiera; è il tempo dedicato all’ascolto della sua Parola; è il tempo sprecato per amare i fratelli, nei fatti e non solo a parole (1 Gv 3,18). Quest’olio è luce negli occhi (Sal 119/118,105), ardore nel cuore (Lc 24,32), sapienza nella mente (Sal 119/118,98-100). La notte del mondo allora non è più un luogo di pianto e stridore di denti (Mt 24,51), bensì di intimità e calore: gioia e pace di una lampada accesa, tanto più preziosa e gradita, quanto più fitta è la tenebra.

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