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“Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”

«È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita»
«Spirĭtus est, qui vivifĭcat, caro non prodest quidquam; verba, quae ego locūtus sum vobis, Spirĭtus sunt et vita sunt»

Terza Settimana di Pasqua – Gv 6,60-69

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Il commento di Massimiliano Zupi

I discepoli denunciano a Gesù che le parole da lui pronunciate, quelle sulla sua carne da mangiare e sul suo sangue da bere (Gv 6,53-56), sono troppo dure. Gesù risponde che quelle parole sono spirito e vita. Com’è possibile una valutazione così diversa? Come mai le stesse parole all’uno appaiono portatrici di vita e agli altri troppo dure? Una situazione analoga si ripete a proposito della carne. Gesù ha spiegato che solo chi mangia la sua carne ha in sé la vita (Gv 6,53). Ora invece dichiara che la carne non giova a nulla: solo lo Spirito dà la vita. Come intendere una simile contraddizione?  Il fatto è che ci sono due modi di vivere la carne: come istinto di possesso e di sopravvivenza, o come dono di sé e sacrificio; come soddisfazione delle proprie esigenze, o come fedeltà all’altro; come amor sui, amore di sé stessi, o come amor Dei, amore di Dio: come ripiegamento su di sé, sul proprio ombelico, o come luogo del contatto e dell’accoglienza dell’altro. Nel primo caso, la carne rimane malata di morte; nel secondo, è animata dallo Spirito, dalla vita di Dio. Ed ecco che ad una carne schiava del peccato le parole di Gesù sembrano dure, ad una carne liberata dallo Spirito, invece, piene di vita. È la lotta in noi tra le tenebre e la luce.

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