«Questi sono i dodici che Gesù inviò» «Hos Duodĕcim misit Iesus»
Mercoledì 8 luglio – XIV settimana del tempo ordinario – Mt 10,1-7
In quel tempo, chiamati a sé i suoi dodici discepoli, Gesù diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino».
Il commento di Massimiliano Zupi
Il pronome dimostrativo «questi» segue l’elenco dei dodici nomi riportato dall’evangelista. È una delle tante liste di nomi propri scrupolosamente trascritte in diversi punti della Bibbia (la prima si trova al capitolo quinto della Genesi). In genere si tratta di genealogie: interminabili enumerazioni di nomi, per lo più sconosciuti; ne troviamo anche all’inizio dei Vangeli di Matteo e di Luca (rispettivamente, ai capitoli primo e terzo). Pagine noiose, perché i nomi propri, se non noti, non dicono nulla: disinteresse nei confronti di ciò che ci è semplicemente estraneo. L’elenco dei dodici discepoli forse lo è un po’ meno, noioso, sia perché il numero è inferiore rispetto a quello delle genealogie sia perché dei nominati qualcosa sappiamo. Ciò nondimeno, si tratta comunque di versetti che volentieri oltrepasseremmo velocemente. In ogni narrazione, scritta o cinematografica, una regola da osservare è che ci sia un protagonista, affiancato al massimo da altri due o tre coprotagonisti: ciò permette al lettore/spettatore di seguire più facilmente la storia, interessandosene, grazie al fatto di sviluppare un rapporto di familiarità con quei pochi. Ma dodici sono decisamente già troppi.
Perché dunque questi elenchi nella Scrittura? Semplicemente perché le vicende bibliche, pur nella loro particolarità, vogliono abbracciare la storia dell’umanità intera, nessuno escluso: quelle genealogie rappresentano la concrezione del coinvolgi-mento radicale e temporale, personale e storico, di Dio con ciascuno. Quei nomi sono persone a noi sconosciute; non sono i grandi della storia, non sono eroi: sono uomini e donne qualunque, che tuttavia sono stati considerati degni di essere citati nella pagina sacra. E se i nomi si fermano a qualche decina, è solo per limiti di pagina, di spazio e di tempo: in quell’elenco c’è il nome di ciascuno di noi, il cui volto e il cui nome è unico agli occhi del Signore (Is 43,4; 49,16), e il cui contributo alla storia della salvezza è, sì, minimo, ma insostituibile, come la singola pietra nella costruzione di un edificio (1 Pt 2,5).