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Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli venite a farvi guarire e non di sabato

«Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato» «Sex dies sunt in quibus oportet operāri; in his ergo venīte et curamĭni et non in die sabbăti»

Lunedì 26 ottobre – XXX settimana del tempo ordinario – Lc 13, 10-17

In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato». Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?». Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

Il commento di Massimiliano Zupi

Dio creò il mondo in sei giorni; il sesto giorno creò l’uomo, a sua immagine e somiglianza, e se ne compiacque. Il settimo giorno quindi si riposò, per godere dell’opera di creazione appena compiuta e della compagnia dell’uomo in particolare (Gn 2, 2-3). Il popolo d’Israele osserva dunque il riposo nel giorno di sabato, astenendosi da ogni lavoro: è giorno consacrato alla relazione tra gli uomini e con Dio, fine e principio di ogni opera (Es 20,8-11).

Se questo è il senso della festa dello shabbat, stupisce la polemica del capo della sinagoga: è evidente infatti che Gesù non ha trasgredito il sabato; al contrario ha permesso che anche quella figlia di Abramo potesse onorarlo. Curva su sé stessa, posseduta da satana, la donna non era capace di stare ritta, in relazione con i suoi fratelli ed il suo Dio: il suo sguardo era nascosto, rivolto a terra, fuggitiva ed emarginata, esclusa dalla comunione.

Gesù la tocca e le ridona la postura eretta, la possibilità di vivere nel faccia a faccia con i suoi simili ed il suo Creatore, nello scambio del dono di sé ricevuto ed offerto. Cosa ha da rimproverare dunque il capo della sinagoga? Ai suoi occhi, la guarigione è un’opera compiuta dalla donna. Egli non comprende non solo che la guarigione non è tanto un’opera, quanto piuttosto ciò che rende possibile qualunque opera; ma neanche che la guarigione non è compiuta, bensì ricevuta dalla donna.

In questo senso, anzi, invece che trasgressione, è compimento del sabato: l’uomo entra nel riposo di Dio, infatti, quando comprende che tutto è dono, tutto è grazia, tutto è eredità. È significativo che Gesù dica alla donna che ella è stata liberata dalla sua malattia già prima di essere stata toccata: tutto è già pronto (Mc 14,15)! Il Signore sta alla porta e bussa (Ap 3,20): basta aprirgli. Il Padre sta sulla soglia ad attenderci: è sufficiente rientrare in noi stessi e volgerci a lui (Lc 15,17.20). Il tempo è compiuto ed il regno dei cieli è vicino (Mc 1,15): affrettiamoci ad entrare nel riposo di Dio (Eb 4,11)!

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