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“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti”

«La giustizia, la misericordia e la fedeltà»
«Iudicĭum et misericordĭam et fidem!»

XXI Settimana del Tempo Ordinario – Mt 23,23-26

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cam”mello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!».

Il commento di Massimiliano Zupi

Nella prima parte della sua requisitoria contro scribi e farisei, ieri, Gesù aveva denunciato la loro sete di potere e di oro. Oggi esplicita ulteriormente quanto lì era già emerso implicitamente: l’importante non è pulire l’esterno del bicchiere e del piatto, con il rispetto di norme e divieti che ci facciano apparire virtuosi agli occhi degli altri; ciò che conta è che l’interno sia pulito: ovvero il cuore, l’intenzione (Mc 7,18-23). Solitamente vi è differenza tra vita pubblica e privata: in pubblico mettiamo in mostra le nostre qualità migliori, tenendo nascoste ombre e debolezze.

Così ci si innamora per lo più dell’aspetto pubblico di una persona: l’amore deve quindi passare la prova di sperimentare l’amato anche nella sua sfera privata, accettando il divario che la separa dall’immagine pubblica che conoscevamo. In fondo, si scopre sempre che ci eravamo innamorati di un’altra persona, soltanto immaginata (Gn 29,25), rispetto a quella che impariamo ad amare (Gn 29,30).

Il pericolo maggiore, tuttavia, non risiede probabilmente nel giudizio superficiale che tendiamo a farci del prossimo, quanto piuttosto in quello che formuliamo su noi stessi: rischiamo di condurre un’esistenza in cui curiamo solo l’esterno − l’aspetto pubblico della nostra persona − senza entrare mai in contatto con l’interno, con il nostro cuore. Ed allora, con il trascorrere degli anni, cresce la percezione di vuoto e di tristezza: infatti non solo non si può ingannare Dio, ma nemmeno noi stessi! Possiamo fingere di fronte agli altri: ma alla fine non possiamo non restare soli con noi stessi e con Dio, nella verità.

Il vangelo invita ad una vita di conversione, nella quale plasmare il proprio cuore ad immagine di quello di Dio, e così ad entrare nella gioia. Ora, l’essenziale del cuore di Dio, le cose «piùgravi della Legge», sono tre: «la giustizia, la misericordia e la fedeltà». Con queste non dobbiamo stancarci di misurarci né esse dobbiamo rinunciare a desiderare. Anzitutto la giustizia: non coltiviamo l’istinto di dominio né il senso di superiorità! Al contrario, desideriamo che ognuno fiorisca e risplenda (Rm 12,10).

Ed ancora: che non siamo abitati dalla menzogna e dalla falsità, ma viceversa amiamo la rettitudine e la verità. Poi la misericordia: non giudicare, non condannare, non essere sprezzanti né duri; piuttosto dare sempre credito, promuovere, incoraggiare; e ancora: perdonare, credere e sperare (1 Cor 13,7). Avere a cuore i piccoli, i più fragili, i meno amabili: avere un cuore di padre e di madre, qual è Dio.

Infine, la fedeltà: non lasciarsi guidare dai propri bisogni ed esigenze, umori e pulsioni; non essere concentrati su di sé, curvi sul proprio ombelico, bensì divenire affidabili, come roccia rispetto alla sabbia, come alberi rispetto all’erba, dimenticando sé stessi: nella consapevolezza che non c’è amore se non nella fedeltà (2 Tm 2,13), e non c’è vita se non nell’amore.

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