«Il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate»
«Scit enim Pater vester, quibus opus sit vobis, antĕquam petātis eum»
XI Settimana del Tempo Ordinario – Mt 6,7-15
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».
Il commento di Massimiliano Zupi
«Pregare» è sinonimo di «chiedere con forza ed insistenza»; ma se Dio già sa ciò di cui abbiamo bisogno, forse è inutile chiedere? No; del resto, Gesù comanda di «pregare sempre, senza stancarsi mai» (Lc 18,1). La questione non è se e quanto pregare − è bene pregare e sempre − ma come pregare. Se Dio già sa tutto, non occorre spiegargli niente; al massimo, parole di effusione o di chiarimento possono essere utili a noi stessi. Pregare non è chiedere spiegando o sfogandosi; è piuttosto inginocchiarsi e mettersi alla sua presenza. Pregare è stare cuore a cuore con Dio: per questo sono quasi inutili le parole. Si possono riassumere in brevissime formule, che esprimano il proprio affidamento da figli: per esempio, «Padre mio», o «Sia fatta la tua volontà».
Pregare è volgere lo sguardo altrove da sé: è guardare a lui. Un primo effetto terapeutico della preghiera consiste proprio nell’ottenere di distogliere l’attenzione dal proprio piccolo io, racchiuso nei limiti di un mondo sempre troppo angusto, ed alzare lo sguardo al cielo, verso l’infinito e l’eterno. Ci si accorge allora che l’esistenza terrena che stiamo vivendo non è tutto, è anzi un granello nell’immensità dell’universo. Si recuperano le giuste proporzioni dei problemi e delle sofferenze che ci attanagliano: al fiato corto si sostituisce un respiro profondo. Riacquistare la giusta prospettiva su di sé e sul mondo permette di liberarsi da tanti ripiegamenti e blocchi: si è già a metà dell’opera! Per pregare occorre sempre un momento iniziale di raccoglimento: ma il raccoglimento è piuttosto un uscire fuori di sé, un guardare oltre sé, a Dio. Come scriveva Agostino, «In te ipsum redi […] trascende et te ipsum»: «Rientra in te stesso […] va’ aldilà anche di te stesso» (De vera religiōne 39,72). Si fa un passo indietro, sì, ma per poter spiccare meglio il salto! Per questo si inizia a pregare invocando lo Spirito Santo: ossia lasciando il proprio respiro breve per inspirare il respiro ampio di Dio. Qualunque formula o pratica di preghiera ha questo scopo: educarci a stare sotto il suo sguardo, a vivere alla sua presenza, ad orientare la propria esistenza rivolti a lui; ad abitare nel nostro cuore abitato da Colui che è nostro Padre e da Colui che è nostro Sposo.