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Tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo

«Tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo» «Omnis popŭlus suspensus erat audĭens illum»

Venerdì 20 novembre – XXIII settimana del tempo ordinario – Lc 19, 45-48

In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera (Is 56,7). Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.

Il commento di Massimiliano Zupi

Appena giunto a Gerusalemme, Gesù si dirige senza indugio nel tempio: entra e scaccia i venditori; quindi ogni giorno vi torna per insegnare. Finalmente prende possesso della casa che gli spetta di diritto, come prefigurato all’inizio del Vangelo di Luca, nell’episodio in cui il figlio di Maria e Giuseppe, dodicenne, viene ritrovato dopo tre giorni «nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava» (Lc 2,46). Gesù parla e la folla pende dalle sue labbra: è compiuto il regno dei cieli?

Unica nota stonata sono i capi dei sacerdoti e gli scribi, che anziché convertirsi, si induriscono sempre più e hanno ormai definitivamente preso in cuor loro la decisione di eliminare il Nazareno. Ma anche quel popolo, che ora sta dalla sua parte, non è il medesimo che tra pochi giorni avrebbe gridato: «Crocifiggilo!» (Lc 23,21)? No, non basta l’annuncio e l’ascolto della Parola perché venga il regno di Dio e sia accolto. Del resto, anche quando, in Galilea, la folla aveva seguito e preceduto Gesù, che cercava un luogo solitario per stare con i suoi discepoli attraversando il lago fin sull’altra riva, anche allora Gesù, mosso a misericordia, si era messo ad insegnare (Mc 6,31-34): tuttavia la folla alla fine era rimasta senza cibo ed aveva rischiato di morire di fame (Mc 8,3).

O ancora, al termine del Vangelo, quando il Risorto appare ai due di Èmmaus, si mette a spiegare loro le Scritture per tutto il tempo del cammino (Lc 24,27): eppure essi fino alla fine non lo riconoscono. La Parola può infiammare (Lc 24,32), ma non apre gli occhi; può consolare, ma non sfama; può entusiasmare, ma non fa cambiare vita. Non è questa, del resto, l’esperienza ancora di molti? Si può godere ed essere scaldati mille volte dalle parole di bravi e santi predicatori, eppure l’esistenza può continuare a scorrere inalterata su un binario parallelo. La Parola non basta: per questo Gesù alla folla che lo aveva seguito fin sull’altra riva ordina di mettersi a sedere e distribuisce loro pani e pesci fino a saziarli (Mc 6,39-42); anche con i discepoli di Èmmaus si siede a tavola e spezza per loro il pane: allora si aprono loro gli occhi e lo riconoscono (Lc 24,30-31).

Così anche ora, entrato a Gerusalemme, non gli sarà sufficiente insegnare ogni giorno nel tempio: per farne la propria casa, dovrà spezzare il proprio corpo sulla croce e distribuirlo a tutti come pane da mangiare. Allora sarà costruito il nuovo e definitivo tempio (1 Cor 3,16; 6,19): il nostro stesso corpo, che diventa il suo corpo (1 Cor 12,27), una cosa sola con lui (Gv 17,11.21-22).

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