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Mitezza ed umiltà sono dolcezza che consola e povertà che rende liberi

«Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» «Discĭte a me, quia mitis sum et humĭlis corde»

Mercoledì 9 dicembre – II Settimana di Avvento – Mt 11, 28-30

Il commento di Massimiliano Zupi

Noi tutti siamo stanchi ed oppressi, dice Gesù: ed è vero! Siamo stanchi: ogni slancio presto si esaurisce, le novità invecchiano, pesano gli anni spesi a vuoto e le relazioni fallite, una emorragia di vita inarrestabile ci fiacca (Mc 5,25-26). Siamo oppressi: sensi di colpa ci incupiscono, per errori commessi, per ferite inflitte, per male compiuto; sempre nuove scadenze ed obiettivi da raggiungere si succedono, togliendo fiato e riposo. Gesù ci invita e ci promette ristoro: come?

La prima medicina, contro la stanchezza, è la mitezza: la dolcezza lenisce i contrasti, la longanimità dilata il respiro, la mansuetudine accoglie tutto come benedizione. I miti dormono tranquilli, come bimbi svezzati in braccio a loro madre (Sal 131/ 130,2). La seconda medicina, contro il senso di oppressione, è l’umiltà: la confessione dei propri peccati libera dai sensi di colpa e rinnova la giovinezza come aquila (Sal 103/102,5), la minorità guarisce dal senso di inadeguatezza e dalla brama dei primi posti (Lc 14,8). Gli umili non sono di peso né a sé stessi né agli altri: non fanno ombra; al contrario, sollevano ed edificano. Mitezza ed umiltà sono dolcezza che consola e povertà che rende liberi.

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