«In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà»
«Amen dico vobis: Unus vestrum me traditūrus est»
Settimana Santa – Mercoledì – Mt 26,14-25
In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù. Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
Il commento di Massimiliano Zupi
«In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà»: nel Vangelo di Matteo, è la prima parola pronunciata da Gesù durante l’ultima cena. In effetti, «tradire» è una delle parole-chiave nei racconti della Passione. Paradídomi in greco, tradĕre in latino: in entrambi i casi, sono verbi composti di -dare (in greco, dídomi). «Tradire», in queste lingue antiche, aveva un’accezione originariamente positiva: indicava la trasmissione (dagli stessi vocaboli deriva anche il termine «tradizione»), la consegna, azioni che implicano appunto un dare, un donare. Per questo il Figlio di Dio è venuto nel mondo: per donarsi agli uomini (Gv 10,17), come pane. È la vita stessa di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo si danno e si accolgono reciprocamente, l’un l’altro. È quello che in teologia viene indicato con il termine perichóresis in greco, circumincessĭo (o circuminsessĭo) in latino: un riversarsi reciproco, circolarità d’amore.
Il Verbo dunque viene tra i suoi, perché anche gli uomini partecipino di questa danza divina: ma gli uomini non l’hanno accolto (Gv 1,11). È il mistero dell’iniquità (2 Ts 2,7): non c’è corrispondenza, la reciprocità è mancata. Ecco allora che al consegnarsi di Gesù corrisponde il consegnarlo da parte dei suoi, il metterlo a morte: «tradire» diventa il verbo per eccellenza per dire il rinnegamento dell’amore, l’infedeltà. Alla perichóresis, reciprocità d’amore, subentra la croce, testimonianza di un amore unilaterale incondizionato.
Ora, Gesù è pienamente consapevole del tradimento che sta per essere consumato e del destino di morte che lo attende. La sua consapevolezza però è regale e non servile: non si lamenta né accusa nessuno; piuttosto è ormai regista del dramma: vuole amare i suoi fino alla fine (Gv 13,1), donando la sua vita. E se anche noi imparassimo a vivere così? Se affrontassimo tutte le contrarietà della vita – malattie, incidenti, tradimenti – come occasioni per amare e per donarci, non maledicendo né offendendo, non fuggendo né condannando, bensì dicendo sì e benedicendo, ringraziando e perdonando? Se fosse questo il segreto della perfetta letizia?