«Non vi siete nemmeno pentiti così da credergli» «Nec paenitentĭam habuistis postĕa, ut crederētis ei»
Domenica 27 settembre – XXVI Settimana del tempo ordinario – Mt 21, 28-32
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Il commento di Massimiliano Zupi
I due figli della parabola, inizialmente, si comportano allo stesso modo: nessuno dei due accoglie l’invito del Padre ad andare a lavorare nella vigna. Entrambi rifiutano di entrare in una relazione piena ed autentica con il Padre: l’uno esplicitamente, l’altro nei fatti. Sono uniti nella disobbedienza: lontani dalla casa paterna e da sé stessi. Questo il punto di partenza. Differente però il punto d’arrivo: il primo si pente e va, il secondo resta nel suo rifiuto, lontano. Gesù spiega la parabola: il primo figlio sono i peccatori dichiarati e riconosciuti, il secondo sono i giusti. I peccatori dunque, nel regno dei cieli, passano avanti ai giusti. Com’è possibile?
Il vantaggio dei peccatori, paradossalmente, è di essere nel peccato: non possono negarlo, non hanno maschere da indossare, buoni ruoli da rivestire. C’è più probabilità, allora, che sentano il dolore, la pena, «paenitentĭa» in latino, per la propria condizione: provano sete, soffrono la solitudine e la divisione del proprio essere.
Sono un calice vuoto: proprio per questo più pronti ad accogliere chi li voglia riempire. Sono una ferita sanguinante: per questo in cerca di un medico che li curi. Sono un osso slogato, fuori sede: per questo desiderano una relazione d’amore in cui finalmente trovare casa. I giusti invece si sentono a posto: non sono pellegrini su questa terra (1 Pt 1,1). Credono di essere sani (Mt 9,12): per questo sono autosufficienti, bastano a sé stessi. I peccatori sono come i «freddi» di cui parla l’Apocalisse (Ap 3, 15-16): quando incontrano il fuoco, non possono resistergli. I giusti invece sono come i «tiepidi»: sono destinati a rimanere fuori. Almeno finché non sentano il dolore, la paenitentĭa della loro condizione: anch’essi infatti, in verità, sono fuori della vigna, conducono un’esistenza senza amore.
Sentire la propria sete d’amore (Sal 42/41,2-3; Gv 4,7; 19,28) e la fallacia dei tentativi per soddisfarla (Sal 127/126,1-2; Is 49,4; 55,2; Mc 5,26), versare lacrime e gettarsi tra le braccia del Padre: sarà il dono che almeno alla fine per tutti porterà con sé sorella morte?