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Ma sua madre intervenne: “No, si chiamerà Giovanni”

«Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio»
«Elisăbeth implētum est tempus pariendi, et pepĕrit filĭum»

Novena di Natale – Lc 1,57-66

In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria.

Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.

Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.

Il commento di Massimiliano Zupi

La stesura di un libro è il coronamento della vita di uno scrittore. La nascita di un figlio è il compimento per l’esistenza di ogni uomo. La generazione, di un’opera o di una nuova persona, ci introduce nel mistero della vita, che è appunto essenzialmente esperienza di generazione. Ora, però, il parto è solo il momento conclusivo: esso è preceduto da un lungo tempo di attesa, di gestazione. In un certo senso, l’intera esistenza terrena si lascia interpretare come un unico lungo tempo di attesa.

Cosa fa una donna nei nove mesi di gravidanza? Fondamentalmente, nulla. Certo, qualche visita, qualche attenzione; tuttavia soprattutto, semmai, riposare: fare ancora meno del so-lito. In suo potere, è solamente di opporsi alla venuta al mondo di quel figlio: la terribile opzione dell’aborto. Per il resto, il bambino cresce nel suo ventre da sé: il mistero di Dio e della vita ci sopravanza sempre (Mc 4,27). Non è così anche nei confronti di noi stessi?

Il nostro corpo cresce, cambia, fino ad invecchiare e morire, senza che ce ne accorgiamo né tanto meno potendo interferire in quei processi in maniera significativa. Ma lo stesso si ripete anche sul piano affettivo ed intellettuale: emozioni e stati d’animo si succedono, innamoramenti e raffreddamenti si susseguono; idee ed illuminazioni si accendono: in generale, l’intera facoltà del parlare e del pensare si evolve in noi senza che ne controlliamo lo sviluppo.

Tuttavia il nostro stile di vita, le nostre abitudini consentono od ostacolano la crescita: cibo ed attività fisica per il corpo, relazioni, letture e parole per il cuore e la mente. Quali persone ascoltiamo? Quale cibo mangiamo? Da quali parole ci facciamo fecondare? L’ascolto sincero e fedele della Parola di Dio ci trasforma lentamente, ma infallibilmente in figli di Dio (Is 55,11): tutto il tempo di questa vita terrena è davvero solo l’intervallo necessario per la nostra gestazione (Rm 8,22-23).

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