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Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?

«Sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai» «Quonĭam oportet semper orāre et non deficĕre»

Sabato 14 novembre – XXXII settimana del tempo ordinario – Lc 18, 1-8

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Il commento di Massimiliano Zupi

La sezione del Vangelo di Luca sulla venuta e l’accesso al regno di Dio si chiude con questa esortazione alla preghiera continua. Necessità nell’originale greco è dẽin, il verbo tecnico utilizzato nei Vangeli per dire la croce quale via necessaria per giungere alla resurrezione: la preghiera dunque è pensata anch’essa come la strada necessaria per entrare in quella vita da risorti che è il regno di Dio.

La parabola tuttavia sottolinea, sì, l’importanza della perseveranza e dell’insistenza nella preghiera, ma anche le resistenze e le dilazioni nel suo essere ascoltata. In effetti, venti secoli di uomini di preghiera a partire dall’esortazione di Gesù confermano il ritardo della venuta di Colui che è invocato: la fedeltà di quegli uomini non sembra essere stata premiata. Ciò nondimeno, Gesù conclude invece dichiarando che Dio ascolterà prontamente le preghiere dei suoi fedeli. In che senso? Come conciliare l’apparente contraddizione tra il ritardo della venuta del Signore ed il pronto intervento promesso da Dio stesso?

Si tratta probabilmente di comprendere in che senso Dio ascolti le preghiere levate a lui. Non evidentemente nel senso di esaudire le richieste: forse perché spesso è meglio così per coloro stessi che le avanzano; forse perché contrarietà e sofferenze tornano piuttosto a vantaggio della nostra crescita spirituale: non vanno risolte od evitate, bensì accolte. Le preghiere però non sembrano ascoltate nemmeno nel senso di affrettare il ritorno del Signore: certamente perché quel che per noi sono mille anni, per lui è un giorno solo (Sal 90/89,4); forse anche perché egli attende quei tempi maturi nei quali l’umanità sarà finalmen-te diventata in grado di accoglierlo (2 Pt 3,9). Ma allora in che senso Dio ascolta le nostre preghiere? Forse semplicemente nel senso che le ascolta: noi ci rivolgiamo a lui ed egli si rivolge a noi.

La preghiera è anche soltanto questo: un incrociarsi degli sguardi. Tenere vivo il desiderio di Dio, amarlo: è questa la preghiera continua, senza interruzione, pregata in ogni momento. Orientare la propria vita a Dio: in questo senso chi prega è prontamente esaudito ed ha fin da subito la sua ricompensa, l’accesso al regno di Dio qui ed ora.

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