«Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà»
«Si duo ex vobis consensĕrint super terram de omni re, quamcumque petiĕrint, fiet illis a Patre meo, qui in caelis est»
XIX Settimana del Tempo Ordinario – Mt 18,15-20
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni (Dt 19,15). Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
Il commento di Massimiliano Zupi
Il Vangelo di oggi è costruito su un contrappunto. Da una parte, la figura del peccatore, che la comunità cerca di riguadagnare a sé, ma che nella sua libertà (o forse sarebbe meglio dire nella schiavitù del suo peccato) può anche rimanere separato. Dall’altra parte, i fratelli in comunione tra di loro nel nome del Signore: essi realizzano già in terra il regno dei cieli, l’unità tra di loro e con il Padre ed il Figlio (Sal 133/132; 1 Cor 15,28).
Qui il trionfo dell’amore e della concordia; lì la sconfitta della comunità e della comunione. Come conciliare due realtà così distanti? Cosa fare soprattutto con i fratelli che si siano persi nel peccato? Senz’altro, come chiede Gesù, cercare di correggerli: ma con quale spirito? La correzione infatti tanto facilmente può essere fatta con sentimento di superiorità e giudizio di condanna: io sono migliore, lui un povero peccatore (Lc 18,11-12)!
Ma, come ricorda san Paolo, qualunque cosa, anche la correzione fraterna, fatta senza amore è come un cembalo che tintinna: non vale niente (1 Cor 13,1-3). Cosa significa dunque correggere con amore? Anzitutto, non sentirsi migliori; anzi, come suggerisce sempre san Paolo, in tutta sincerità considerare gli altri sempre superiori a noi stessi (Fil 2, 3): non per falsa modestia, ma per consapevolezza della propria fragilità, sapendo bene che se non sono vittima del peccato come quel fratello, è solo perché sono stato aiutato di più.
E poi dolersi profondamente per la caduta e lo smarrimento del peccatore: dolersi a tal punto che, fin quando non ritornerà alla casa del Padre, soffrirò e non starò in pace (Is 62,1). Proprio come il Padre, lascerò libero quel fratello, anche di andare via lontano (Lc 15,12): perché amare significa anzitutto rispettare la libertà dell’amato; ma per il resto aspetterò sulla soglia il suo ritorno, pronto a corrergli incontro per andare ad abbracciarlo (Lc 15,20): perché la festa non potrà cominciare senza di lui.