«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» «Solvĭte templum hoc et in tribus diēbus excitābo illud»
Lunedì 9 novembre – Festa della dedicazione della Basilica Lateranense – Gv 2, 13-22
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà (Sal 69/68,10).
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Il commento di Massimiliano Zupi
«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere»: questa frase di Gesù è forse quella riportata in più punti nei Vangeli. Qui, in Giovanni, è messa sulla sua bocca in occasione della sua prima salita a Gerusalemme, nei giorni di Pasqua. Nei sinottici, nella notte del giovedì santo, durante il processo presso i capi religiosi, è utilizzata quale capo d’accusa (Mt 26,61; Mc 14, 58); e poi ancora, ai piedi della croce, come dileggio da parte dei passanti (Mt 27,40; Mc 15,29). In effetti, in questa frase è contenuto niente meno che il passaggio dall’antica alla nuova ed eterna alleanza.
Il gesto e l’affermazione di Gesù nel tempio, come spesso avviene nel Vangelo di Giovanni, si presta a diversi livelli di interpretazione. Ad un primo livello, Gesù denuncia la perversione compiutasi in Israele: il tempio non è più la casa del Padre, ma un mercato il cui dio è il denaro; al posto di Dio, si adora e si serve mammona, la ricchezza. La frusta di cordicelle allora è profezia della prossima e definitiva distruzione del tempio stesso: disabitato da Dio, sarebbe stato raso al suolo dai Romani nell’anno 70.
Ad un secondo livello, però, più profondo, come nota l’evangelista stesso, Gesù sta parlando di un altro tempio: di lui stesso, della sua carne. La frusta di cordicelle allora è anticipazione della sua messa a morte in croce: lì il vero tempio sarebbe stato di-strutto. Questa volta tuttavia la distruzione sarebbe stata occasione di una nuova costruzione: il corpo crocifisso sarebbe diventato pane per tutti.
Ecco che non vi sarà più un solo tempio, a Gerusalemme (Gv 4,21-24), ma ovunque sarà consacrata l’Eucarestia, là vi sarà una casa del Signore. Ancora di più, chiunque mangerà quel pane, diventerà tempio santo: Gesù è la prima pietra, angolare; su di essa sarà costruito il nuovo tempio, con pietre vive (1 Pt 2,4-8). Le tavole di pietra saranno sostituite dal cuore di carne (Ger 31,33; Ez 36,26): Dio abbandona il tempio e si fa carne, affinché ogni carne d’uomo possa diventare suo tempio, dimora di Dio (1 Cor 6,19), una cosa sola con lui (Gv 17,21).