«Spiegaci la parabola della zizzania nel campo»
«Dissĕre nobis parabŏlam zizaniōrum agri»
XVII Settimana del Tempo Ordinario – Mt 13,36-43
In quel tempo, Gesù congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».
Il commento di Massimiliano Zupi
Nei Vangeli Gesù ritorna su poche parabole, per esempio su quella del seminatore (Mt 13,18-23), per spiegarle; così come poche volte lo stesso miracolo viene ripetuto: ad esempio, la moltiplicazione dei pani (Mt 15,32-39). In entrambi i casi, l’intenzione evidentemente è di sottolineare aspetti particolarmente importanti, di evidenziare questioni centrali: il mistero eucaristico, nel caso della moltiplicazione dei pani; l’efficacia della Parola, la sua debolezza ed il suo potere insieme, nel caso della parabola del seminatore. Oggi dunque l’evangelista ritorna sulla parabola della zizzania. In effetti, essa affronta uno dei temi più delicati e dolorosi, forse il più difficile da trattare: il mistero del male, della iniquità. Dio ha creato bene ogni cosa (Qo 3,11), eppure il mondo è ferito dal male; Dio è amante della vita (Sap 11,26), tuttavia l’esistenza sulla terra è segnata dalla morte.
L’uomo poi? Egli è a immagine e somiglianza del suo Creatore (Gn 1,26-27); ciò nondimeno, tutti sono peccatori: non se ne salva nessuno, neppure uno (Sal 14/13,3). La parabola comincia da una constatazione: la zizzania cresce insieme al grano. Vorremmo che non fosse così: ma di fatto è così. Nella storia, in effetti, sembrano procedere di pari passo il bene ed il male: ad esempio, stiamo distruggendo il nostro pianeta e al tempo stesso mai come oggi abbiamo sviluppato una coscienza ecologista. Nel cuore di ciascuno non è lo stesso? Ognuno ha i suoi talenti, la sua bellezza; malgrado ciò, chi è esente da cadute? Chi non compie il male, che pure non vorrebbe (Rm 7,19-21)? La seconda constatazione della parabola è che seme buono e seme malvagio cresceranno insieme fino alla fine dei tempi. Il paradiso non è su questa terra: recriminare contro questo fatto significa condannarsi ad una coscienza infelice.
L’esistenza terrena è fatta per condurre avanti una lotta senza tregua, una corsa fino alla fine (2 Tm 4,7). Come affrontare la gara? Su questo aspetto, il terzo ed ultimo, Gesù si sofferma più a lungo nella sua spiegazione. L’immagine usata è quella di due fuochi: quello della fornace ardente, che brucia e consuma la zizzania (Ap 21,8), e quello del sole, che splende sul volto dei giusti (Nm 6,25; Ap 22,4-5). Ecco, la nostra vita, inesorabilmente, è accesa da entrambe queste fiamme: l’egoismo consuma e corrode noi e tutto quanto ci circonda; l’amore risplende quale luce, che illumina e dà gioia. Il male distrugge e si autodistrugge, il bene crea e rigenera. «Chi ha orecchi, ascolti!», conclude Gesù: rifuggiamo il fuoco dell’odio, lasciamoci illuminare da quello dell’amore!