«È adatto per il regno di Dio» «Aptus est regno Dei»
XXVI settimana del tempo ordinario – Lc 9, 57-62
In quel tempo, mentre camminavano per la strada, un tale disse a Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».
Il commento di Massimiliano Zupi
Gesù invita tutti: la sua chiamata è universale. Non sono richieste qualità, se non il riconoscersi peccatori ed indegni (Lc 78 5,8; 7,6; 18,13). D’altro canto, però, la sequela del Signore è quanto mai esigente. Non basta la buona volontà, la sincera adesione di cuore a Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada».
Così come al giovane ricco non sarebbe bastata la sua pietà, la buona condotta, lo zelo religioso (Mt 19,22). Del resto, è sotto gli occhi di tutti: non è sufficiente andare a Messa, essere bravi parrocchiani, per vivere la gioia del vangelo; non basta nemmeno farsi prete o religioso.
Per raccogliere i frutti del regno, è necessario abbandonare realmente la logica del mondo ed abbracciare quella di Dio. La sequela passa per una diversità, per un rifiuto di ciò che pure, agli occhi di tutti, sembra legittimo. Occorre abbracciare la povertà: rinunciare alla sicurezza materiale («il Figlio del-l’uomo non ha dove posare il capo»), che pure ci sembra esigenza assolutamente indiscutibile, e confidare totalmente in Dio (Lc 12,29-31).
Occorre abbracciare la castità: rinunciare a cercare negli affetti umani il proprio fondamento emotivo («permettimi di andare prima a seppellire mio padre») e mettere Dio al primo posto, vero Sposo e Padre (Lc 14,26). Occorre infine abbracciare l’obbedienza: rinunciare alla propria volontà, ai propri tempi e al-le proprie convinzioni («lascia che io mi congedi da quelli di casa mia») e gettarsi nelle braccia del Padre (Lc 22,42). I tre consigli evangelici – povertà, castità ed obbedienza – non sono prerogativa di fanatici del vangelo: sono le armi per vincere sé stessi e gli inganni del mondo, e liberarci dalla trappola che ci tiene prigionieri.