«Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta»
«Qui autem audīvit et non fecit, simĭlis est homĭni aedificanti domum suam supra terram sine fundamento»
XXIII Settimana del Tempo Ordinario – Lc 6,43-49
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume
investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione
di quella casa fu grande».
Commento di Massimiliano Zupi
L’uomo non può fare a meno di una casa: infatti è bisogno assoluto di accoglienza, da ricevere e da offrire. Ancor prima che di mattoni, l’uomo ha bisogno di altre case. Culturali: una lingua da parlare, una terra sulla quale sapersi orientare, un modo
di vestire e di mangiare. Affettive: persone dalle quali sentirsi abbracciato e protetto, e poi a sua volta da abbracciare proteggere.
Sociali: un nome al quale rispondere, un ruolo nel quale riconoscersi, un’utilità ed uno scopo per i quali sentirsi importante. Tutte queste dimore sono inevitabilmente costruite sulla terra. La terra sostiene, ma anche inghiotte; dà stabilità, ma anche si muove; è il nostro ubi consistam, che però è mutevole e frana: così sono gli uomini, ed anche noi stessi. Le relazioni affettive, le più care, non stanno a dimostrarlo? La terra: gioia e pena insieme, sorgente di vita e croce. E quando il fiume esonda dal suo
letto, quando la festa si trasforma in lutto, la comunione in separazione, ecco che il senso di distruzione è grande. L’esistenza diventa allora spesso l’arte di risistemare i cocci, di costruire su macerie. C’è però una casa − è questa la buona novella di oggi –
costruita su fondamenta solide, su una roccia che non frana, e non sulla terra.
Questa roccia è Gesù: egli è pietra affidabile, perché il suo amore non viene meno, è assolutamente incondizionato, è dono di sé che non chiede nulla in cambio. Egli non si sostituisce alla terra, ma solo le dà stabilità, impedisce il crollo, rende la casa una dimora bella perché credibile, che dura nel tempo.
Chi scopre di essere amato in questo modo, infatti, trova un affetto che resiste ad ogni burrasca (Lc 8,24), una fedeltà più forte di qualunque infedeltà (2 Tm 2,13): pian piano, la roccia trasmetterà la propria stabilità, la propria capacità di amore incondizionato, di dono effusivo di sé, anche a quella terra instabile che siamo noi.