Da mons. Luciano Pacomio, Vescovo di Mondovì, a mons. Luigi Negri, Vescovo di Ferrara, fino al Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia. Sono sempre più numerosi i vescovi italiani che dicono no alla tratta e in particolare no allo sfruttamento sessuale sostenendo il “modello nordico” – che in Vaticano grazie a Papa Francesco da tempo viene approfondito – centrato sul divieto di acquisto di prestazioni sessuali a pagamento. Perché il corpo della donna non è una mercanzia né può essere oggetto di possesso da parte dei clienti. E riguardo a questo inaccettabile “dominio di genere” già S. Giovanni Paolo II aveva parlato con chiarezza nella Mulieris dignitatem. Ci sono poi veri e propri vescovi di frontiera che scelgono addirittura di andare in strada con gli operatori della Comunità di don Benzi a pregare con e per le vittime di sfruttamento sessuale, come accaduto col vescovo di Pescara-Penne, Mons. Tommaso Valentinetti.
Hanno tutti a cuore le persone vittime della tratta di esseri umani e in particolare il più diffuso sfruttamento sessuale delle minorenni. Secondo i dati 2016 di Save the Children infatti sono tante le adolescenti che rischiano la vita attraversando il deserto del Niger, rinchiuse per mesi nei bordelli libici e trasportate coi gommoni fatiscenti esportati dalla Cina lungo la rotta mediterranea in Europa. Rischiano la vita perché convinte di trovare un lavoro e costruirsi un futuro in Europa. Quel continente sempre più invecchiato che è presentato da trafficanti e sfruttatori, anche tramite social e siti internet, come “destinazione Paradiso”. Vengono soprattutto da Nigeria, Ghana e Costa d’Avorio. Ma non mancano minorenni di etnia rom, albanesi e rumene. La Comunità Papa Giovanni le contatta in diverse città italiane tra cui Torino, Cuneo, Biella, Verona, Ferrara, Modena, Massa Carrara, Roma.
Preghiera per le vittime
Oggi 8 febbraio la Chiesa in tutto il mondo pregherà per loro, in occasione della ricorrenza di Santa Giuseppina Bakhita, schiava sudanese di 7 anni, venduta ad un commerciante veneziano. Liberata e convertita al cristianesimo, divenne suora canossiana e fuproclamata santa nel 2000 da Giovanni Paolo II. Da tre anni in questa data la Chiesa celebra la Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umani promossa da Talitha Kum, la rete internazionale di religiose e religiosi di tutto il mondo impegnati contro la tratta. La Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha fatto proprio il dramma della tratta di minori a scopo di sfruttamento sessuale, sta promuovendo in diverse diocesi d’Italia con i rispettivi vescovi fiaccolate cittadine e veglie di preghiera. Un’occasione per ricordare che occorre fermare la domanda di prestazioni sessuali per fermare il traffico di esseri umani, come emerge dalla campagna “Questo è il mio corpo” lanciata nel luglio 2016 alla Camera dei Deputati. Dopo gli eventi del 4 febbraio a Piacenza e del 6 a Rimini, questa sera iniziative in tre città contemporaneamente: a Ferrara alle 20.45 tavola rotonda e a seguire fiaccolata e veglia di preghiera con l’arcivescovo di Ferrara – Comacchio, mons. Luigi Negri. A Verona alle 20.30 si terrà una fiaccolata con il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia insieme a mons. Zenti vescovo di Verona, mons. Pavanello vescovo di Adria-Rovigo, mons. Pizziol vescovo di Vicenza. A Marina di Massa la fiaccolata prenderà il via alle 20.30. Seguirà la celebrazione della S. Messa presso la chiesa della Beata Vergine della Consolazione, presieduta dal vescovo mons. Giovanni Santucci. Il 12 febbraio si terrà anche a Torino alle 17.30 una fiaccolata per le vie della città e a seguire concerto gospel. Parteciperà l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia.
Uno dei “vescovi di frontiera” è il Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia che ha raccontato a In Terris i motivi di questo suo coinvolgimento dalla parte delle vittime e non dei consumatori.
Insieme ad altri vescovi della Conferenza episcopale del Veneto stasera Lei parteciperà a Verona alla Fiaccolata promossa da Comunità Papa Giovanni XXIII, che da anni è impegnata nel recupero delle vittime di tratta e grave sfruttamento. Cosa insegna alle nuove generazioni oggi la straordinaria vicenda di Santa Bakhita che è arrivata persino a perdonare i suoi sfruttatori?
Ci insegna che l’incontro con il Dio vivo e vero, l’unico “paròn” della nostra vita e della nostra storia (per usare le parole di santa Bakhita), apre alla libertà autentica della persona e quindi ad una giustizia più grande, che si sviluppa anche e soprattutto nei rapporti interpersonali, perché rende finalmente possibili nuove opportunità e orizzonti impensati, proprio in quanto apre ad un amore che sa perdonare, che spinge alla conversione e alla redenzione. Papa Francesco parla in continuazione della cultura dello scarto facendo entrare in essa l’uomo, la donna e i bambini che sono – non di rado – gli anelli più deboli di una catena disumana. Ricordo anche ciò che Benedetto XVI ha sottolineato nella “Spe salvi” circa la grande speranza che, nonostante tutto (anche le vicende più dolorose e terribili), è inscritta sempre nella vita di ogni persona.
Cosa pensa dell’aumento di vittime di tratta, specialmente donne e adolescenti, all’interno dei flussi di profughi spesso accolti anche inconsapevolmente da tante nostre realtà cristiane come richiedenti asilo? Che tipo di accoglienza, di tutela e protezione dovrebbe attivare la Chiesa?
L’espandersi della tratta – anche nell’ambito del fenomeno più ampio delle migrazioni – fa riflettere, innanzitutto, sulla pericolosa e degradante concezione della dignità dell’uomo e della donna, in particolare; una concezione degradante che si sta imponendo o che, comunque, sta prendendo sempre più forza. Quanto al tipo di accoglienza da realizzare, non da oggi, ripeto che le persone vanno accolte in base a un progetto di vera e obiettiva integrazione. E non potremo fare diversamente. Non si tratta di essere deboli o forti, si tratta di rispondere al Vangelo di Gesù che genera una cultura e propone un ben preciso tipo di convivenza sociale. Ci vuole un’accoglienza saggia, non buonista. Un’accoglienza, come dicevo, che diventi vera integrazione attraverso un reale progetto che abbia quote certe, ragionevoli – e generose – di immigrati accolti nei differenti Stati europei ed extra europei. Se non c’è questa distribuzione condivisa e questa integrazione reale, anche il migliore volontariato, la massima disponibilità e la vera cultura dell’accoglienza resteranno insufficienti. Certo, si registrano tensioni e difficoltà ma vi è anche tanta disponibilità da parte della nostra gente e che desidero sottolineare. Siamo di fronte a un problema epocale che richiede una politica che non si accontenti di piccoli interventi ma abbia il coraggio che si richiede nei momenti che segnano i grandi tornanti della storia dei popoli, dei continenti e dell’intero pianeta.
Diverse associazioni cristiane e laiche ritengono che l’unica soluzione per contenere il fenomeno dello sfruttamento sessuale, a partire proprio da Venezia, sia regolamentare il fenomeno creando dei quartieri, delle zone in cui è lecita la compravendita di sesso a pagamento, fuori dai centri cittadini. Per la Comunità Papa Giovanni XXIII invece occorre fermare la domanda. Crede anche Lei che sia il cliente l’anello di congiunzione di questa rete di sfruttamento? E’ giusto punire per avviare ad un percorso di riabilitazione? Molti dicono che in questo modo verso i clienti la Chiesa manca di misericordia.
Puntare e ricentrare l’attenzione sul “cliente” è importante; il cliente va reso consapevole e messo di fronte alle sue precise responsabilità; se lui non ci fosse, davvero, tutta la macchina si fermerebbe. E, poi, noi sappiamo anche che giustizia e verità non sono mai realtà separate dalla misericordia e dalla carità. Ricordiamo, anzi, che la misericordia è il compiersi della giustizia e, quindi, la misericordia non deve essere (e non è) in contraddizione con la giustizia e mai deve prescindere da essa. La misericordia non è il buonismo, né la semplice tolleranza; la misericordia cerca di guarire le ferite. Anche il cliente è persona che presenta ferite e di questo deve prenderne consapevolezza. Altrimenti ci troveremmo di fronte a un modo troppo facile, ma soprattutto ingiusto, di tranquillizzare la coscienza e questo sarebbe anche l’origine di un vero “cortocircuito” tra “umano” e “cristiano”; una fede non amica dell’uomo e non rispettosa dell’umano non è ancora la vera fede cristiana.